Trattamento transcatetere della stenosi valvolare aortica (TAVI)

Focus

Una metodica innovativa sta cambiando il panorama degli interventi cardiochirurgici: una tecnologia che risponde al nome di TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation) e che rappresenta l’impianto, attraverso un accesso arterioso percutaneo, di una protesi a livello della valvola aortica. La stenosi valvolare aortica costituisce oggi la patologia valvolare di più comune riscontro in Italia e nel resto dei paesi industrializzati.

Ciò è legato al significativo incremento della durata media di vita della popolazione ed al marcato declino della prevalenza del reumatismo articolare acuto. Si manifesta principalmente come stenosi aortica e calcifica in adulti di età avanzata (2-7% della popolazione >65 anni).

La comparsa dei sintomi

Nella stenosi aortica degenerativo-calcifica, la variante al giorno d’oggi di più frequente riscontro, la comparsa dei sintomi avviene in genere dopo la sesta-settima decade di vita e coincide solitamente con la riduzione dell’area valvolare aortica al di sotto di 0.8-1.0 cm² e con il venir meno dei meccanismi di compenso. Tutto ciò determina uno squilibrio tra la funzione di pompa del ventricolo sinistro e l’eccesso di postcarico. I sintomi possono essere direttamente la morte improvvisa o una riduzione significativa della qualità di vita determinata da ridotta tolleranza allo sforzo (affanno) o angina pectoris perché il cuore, a causa dell’ostruzione della valvola aortica, non riesce a mandare ossigeno a sufficienza a tutti gli organi.

L’inizio dei sintomi costituisce uno snodo cruciale nella storia naturale della malattia, provocando un repentino e drammatico peggioramento della prognosi; è noto infatti che in assenza di intervento chirurgico, l’aspettativa media di vita è di circa 2-3 anni dopo l’insorgenza di angina pectoris o sincope e di 1-2 anni dopo un episodio di scompenso cardiaco congestizio.

La TAVI consente di operare pazienti più problematici

La Euro Heart Survey ha evidenziato che circa un terzo dei pazienti con valvulopatia di interesse chirurgico non viene operato o perché non inviato alla chirurgia o perché rifiutato dal cardiochirurgo in ragione dell’età avanzata, ma in modo particolare per la presenza di comorbidità. L’impianto percutaneo della valvola aortica (TAVI) può essere considerato come una valida alternativa all’intervento chirurgico tradizionale di sostituzione valvolare in caso di controindicazione e/o alto rischio chirurgico perché tale approccio è di pari efficacia clinica e presenta un rischio più basso. Il rischio chirurgico viene valutato principalmente calcolando l’EuroSCORE (European System for Cardiac Operative Risk Evalutation), cioè il rischio di morte predittivo per i pazienti che devono essere sottoposti a cardiochirurgia, o il Society for Thoracic Surgeons (STS) risk score, basato su un’ampia raccolta dei dati di oltre 100.000 pazienti.

Efficacia e fattibilità

Purtroppo nessuno score di rischio è ideale: fattori quali l’aorta a porcellana, la malattia polmonare ostruttiva cronica severa, le patologie epatiche sono problematiche importantissime a volte sottovalutate dagli score di rischio. In questo subset di pazienti l’impianto di valvola aortica transcatetere (Transcatheter Aortic Valve Implantation, TAVI) rappresenta una strategia molto promettente e diversi studi hanno valutato l’efficacia e la fattibilità di tale procedura mediante l’utilizzo delle due protesi valvolari attualmente più frequentemente utilizzate a livello mondiale (la Medtronic-CoreValve autoespandibile e la valvola Edwards-SAPIEN), nonché i diversi tipi di approccio utilizzabili (transfemorale, transascellare, transapicale e transaortico) con risultati molto incoraggianti.

L’esperienza personale

In Italia, a tutt’oggi, l’impianto percutaneo della valvola aortica viene eseguita nei principali centri di riferimento di cardiologia come nel Laboratorio di Cardiologia Interventistica dell’Azienda Ospedaliera-Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano dove eseguo interventi  di TAVI, già da alcuni anni e in accordo con le indicazioni internazionali, nei pazienti anziani e con un maggior numero di comorbilità che avrebbero rischio maggiore di mortalità con il trattamento  chirurgico convenzionale. Infatti, quei pazienti con stenosi valvolare aortica a elevato rischio chirurgico, che fino a circa 10 anni fa avremmo gestito con i farmaci, con scarsi risultati clinici, o destinato alla semplice valvuloplastica aortica, lasciando che la malattia seguisse di fatto il suo decorso naturale purtroppo negativo, attualmente hanno la chance di una terapia mirata all’eliminazione della stenosi aortica stessa ma con un rischio periprocedurale ormai molto ridotto.

Gli studi più importanti come il PARTNER1,2 hanno infatti chiarito, rispettivamente, che la TAVI conferisce un significativo miglioramento della prognosi nei pazienti non candidabili a chirurgia tradizionale e che la mortalità a 5 anni, secondo i dati 2016, nei pazienti a elevato rischio chirurgico (EuroSCORE logistico > 20%) risulta essere sovrapponibile rispetto a quella della sostituzione valvolare aortica per via chirurgica.

Gli ultimi dati (Partner 2 Trial) dimostrano come oggi è ragionevole l’impianto di TAVI anche nei pazienti a rischio “intermedio”. Innanzitutto per eseguire questo intervento è necessario convocare un “Heart Team”, come sostenuto dalle Linee Guida della  Società Europea di Cardiologia: il caso del singolo malato deve essere discusso dalle differenti figure professionali coinvolte in un intervento al cuore per capire quale sia il miglior percorso da intraprendere. C’è quindi un’integrazione fra cardiologi, cardioghirurghi e cardio-anestesisti.

Inoltre, personalmente sottopongo sempre preliminarmente questi pazienti a coronarografia e in caso sia necessario, in presenza di malattia coronarica, effettuo anche un intervento, sempre per via percutanea, di rivascolarizzazione coronarica, con angioplastica e stent e quindi dopo alcuni giorni procedo all’intervento di transcatetere della stenosi valvolare aortica. La TAVI è una protesi valvolare che non richiede l’uso del bisturi, è un’operazione di microchirugia, decisamente meno invasiva. Viene avanzata attraverso un catetere inserito in un foro nell’arteria femorale, a livello inguinale, ma c’è la possibilità di inserirlo anche in altre arterie. Si arriva con il dispositivo a livello della valvola aortica nativa e si apre, dentro la nativa, una nuova valvola in materiale autoespandibile oppure montata su un pallone dilatatore che viene gonfiato al momento del corretto posizionamento.

Degenza e costi

Durante l’operazione sono coinvolti il cardiologo interventista che impianta queste valvole, il cardio anestesista, il cardiochirugo e il cardiologo clinico, che segue l’iter del malato. La degenza in Terapia Intensiva è brevissima nella media un giorno con grande risparmio in termini di risorse. Anche la degenza media è molto ridotta.

Il vero problema di questa metodica è il costo della protesi ancora molto alto. Normalmente impianto queste valvole in pazienti ultraottantenni anche perché sembra che soprattutto le persone molto anziane, nelle quali il rischio di una operazione chirurgica tradizionale è estremamente alto, possano beneficiare di questa metodica. I benefici clinici sono immediati con recupero funzionale del paziente in 4 o 5 giorni e quindi può essere dimesso dall’Ospedale.

Conclusioni

La TAVI quindi ha un potenziale altissimo e potrebbe rappresentare il futuro della sostituzione valvolare , verosimilmente ritagliandosi sempre più spazio rispetto alla chirurgia tradizionale. Stiamo ad esempio introducendo la possibilità di usare TAVI anche in pazienti già operati di sostituzione valvolare aortica con protesi biologica, impiantata per via chirurgica in passato, malfunzionante. In considerazione dei buoni risultati ottenuti fino ad ora (anche se con protesi di prima o al massimo seconda generazione), se il follow-up dei pazienti trattati con queste nuove bioprotesi percutanee continuerà a essere favorevole senza sorprese, quali la degenerazione precoce della valvola (durata di almeno 10 anni), e se si otterrà una consistente riduzione dei casi di insufficienza aortica residua, possiamo ipotizzare che l’indicazione al trattamento percutaneo si estenderà ad una popolazione di pazienti ancora più ampia con la possibilità di utilizzare protesi con ulteriori evoluzioni tecnologiche e in grado di permetterci di ottenere migliori outcomes.

 

Dott. Maurizio Di Biasi

Dott. Maurizio Di Biasi

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