Stenosi aortica: importante scoprirla in tempo

l'esperto risponde

Dott. Glauber, cos’è la stenosi aortica?

La stenosi aortica è una riduzione della capacità di apertura della valvola aortica. Essa rappresenta un ostacolo alla fisiologica fuoriuscita del sangue tra il ventricolo sinistro e l’aorta nel corso della sistole, ossia durante la chiusura delle valvole mitrale e tricuspide e l’apertura delle valvole aortica e polmonare. L’aumento pressorio dell’emissione del sangue genera un sovraccarico ventricolare per compensare il quale il ventricolo si ispessisce, affaticando maggiormente per il cuore. La stenosi aortica insorge in genere in età matura, tra i 60 e 70 anni, ma può essere precedente nei pazienti con valvola bicuspide. L’aspettativa di vita in costante crescita concorre all’aumento della frequenza della malattia.

Quali sono le cause?

In genere la stenosi aortica è dovuta al naturale invecchiamento dell’organismo e alla calcificazione dell’anello valvolare. Sono rari i casi in cui la causa è riconducibile a malformazioni congenite o ad una origine reumatica.

Quali sono i sintomi?

Purtroppo finché la situazione non è già grave raramente si avvertono sintomi particolari, anche perché spesso ad un certa età il cuore viene sollecitato meno da sforzi e sovraccarichi.  Nei casi più importanti invece è possibile si arrivi a un’insufficienza cardiaca con: affanno sotto sforzo, presenza di edemi (ai polmoni o agli arti inferiori), dolore al petto/ torace (angina), perdita di coscienza (sincope) in seguito a sforzo, fino all’arresto cardiaco.

Come si arriva a diagnosticarla?

Riuscire a farlo in tempo è la grande sfida. L’ecocardiografia è la tecnica diagnostica migliore per effettuare una diagnosi di stenosi aortica e successivamente tracciare l’anatomia valvolare,  stimare le calcificazioni valvolari, misurare l’ampiezza di apertura residua della valvola aortica, valutare la funzionalità cuore ed escludere o confermare la presenza di un’ipertrofia delle pareti. Mediante un esame ecocardiografico con tecnologia Doppler è possibile confermare la diagnosi, valutare la gravità della situazione e le ripercussioni sul cuore. Con il doppler invece è possibile misurare la velocità del sangue a livello dell’orifizio aortico (un dato importante per accertare un’eventuale differenza di pressione tra il ventricolo sinistro e l’aorta) e valutare la superficie dell’orifizio valvolare.

Quali sono gli interventi possibili?

In caso di stenosi severa si procede alla sostituzione valvolare chirurgica, ritenuto ormai il trattamento d’elezione. Gli approcci chirurgici alla sostituzione valvolare possono essere diversi; l’intervento tradizionale è quello chirurgico a cuore aperto, con arresto dell’attività cardiaca e circolazione extracorporea, ma sono state sviluppate nuove tecniche per intervenire in modo mininvasivo. Questo costituisce un vantaggio anche per quei pazienti che non possono sottoporsi all’intervento chirurgico. La sostituzione valvolare può essere effettuata anche in caso di valvola cardiaca danneggiata; si procede così alla rimozione e alla sostituzione di quest’ultima con una valvola artificiale, meccanica o biologica. La valvola meccanica è robusta e duratura, a tal punto da poter essere ritenuta una soluzione definitiva. È realizzata con materiali a base di leghe metalliche, di carbonio pirolitico e da un anello di sutura in poliestere. Per via dei materiali sintetici utilizzati il paziente dovrà seguire anche una terapia anticoagulante al fine di proteggere le cellule del sangue da traumi che possano alternare la coagulazione. La valvola biologica è composta da materiale di origine animale. Questa composizione da un lato non richiede che il paziente segua una terapia anticoagulante, ma dall’altro espone la valvola a usura con il passare del tempo.

Accennava a tecniche mininvasive: quali sono?

La chirurgia cardiaca mininvasiva (MIS o MICS) punta a impiantare una valvola duratura e sicura, riducendo al contempo il trauma chirurgico e la morbilità. Nell’ultimo decennio essa ha avuto un’importante evoluzione, tanto che la maggior parte dei pazienti candidati a questo tipo di intervento può oggi contare su operazioni sicure ed efficaci. Gli approcci mininvasivi sono due: a) la sternotomia parziale superiore (ministernotomia) è la tecnica più comune, prevede incisioni cutanee più corte e consente di lasciare intatta una parte dello sterno; b) la minitoracotomia anteriore destra prevede invece l’accesso tramite il secondo spazio intercostale. Oggi è in aumento il ricorso a valvole chirurgiche senza suture, in grado di garantire una buona emodinamica di aiuto soprattutto durante la chirurgia mininvasiva, in situazioni anatomiche sfavorevoli e nei pazienti più anziani.

Quali sono i pro e i contro del trattamento mininvasivo?

In generale, l’approccio mininvasivo garantisce la stessa qualità e sicurezza di un approccio tradizionale riducendo allo stesso tempo il trauma chirurgico, il dolore e le possibili complicanze legate all’intervento, con particolare attenzione ad un recupero funzionale più rapido e ad un miglior risultato estetico. La minitoracotomia aortica, inoltre, rispetto alla ministernotomia, ha dimostrato migliori outcome clinici in particolar modo con riduzione dell’incidenza della fibrillazione atriale post-operatoria, ventilazione meccanica, riduzione dei tempi di degenza in terapia intensiva e successivi. L’intervento mininvasivo riduce anche il dolore operatorio e post-operatorio, minimizzando rischi e complicanze.

Come viene gestito il follow-up?

Dopo 1-2 mesi l’intervento è necessario un controllo post-operatorio. Possono essere utili esami a supporto della visita, come radiografia al torace, ecocardiografia ed elettrocardiogramma. È fondamentale un controllo continuo con il proprio medico curante e cardiologo di fiducia che durerà nel tempo.

Dott. Mattia Glauber

Dott. Mattia Glauber

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