Ritengo importante cercare di approfondire le moderne conoscenze di quella branca medico-chirurgica che è la Flebologia, termine coniato per la prima volta da R.Tournay nel 1947, branca che si interessa della patologia del sistema venoso e del sistema linfatico.
All’interno di questa scienza, da molti considerata la cenerentola della Chirurgia Vascolare, occupa un posto fondamentale: la Malattia Venosa Cronica.
Risale a ben 3000 anni prima di Cristo la prima rappresentazione, in arte figurativa, di una vena grande safena. Era quella scolpita sulla coscia muscolosa del Dio Sciarruma, raffigurato nell’atto di accompagnare Tuttilia IV°, re degli Ittiti, nell’Oltretomba. A tale epoca, infatti, risale il bassorilievo trovato in Anatolia e conservato al Museo Pergamon di Berlino. A quei tempi le dilatazioni delle vene, spesso associate ad ipertrofia muscolare, erano considerate segno di potenza e di forza e non di malattia.
Altra, più famosa, immagine è quella raffigurata in un ex voto, ritrovato ad Epidauro, conservato al Museo Nazionale di Atene, risalente al IV° secolo avanti Cristo, che raffigura un uomo che porta al suo dio un manufatto d’argilla che mostra un arto inferiore affetto da voluminose varici. Se vogliamo andare ancora più indietro nel tempo potremmo visitare a Ennedi, al nord del lago Ciad ( Sahara), le pitture rupestri una delle quali raffigura un uomo stilizzato con un vistoso arto gonfio: malattia varicosa in fase di scompenso? Trombosi Venosa? Linfedema?
Il Papiro di Ebers (1550 a.C.) descrive i primi insegnamenti sulla tecnica per cauterizzare le varici e rappresenta la “prima” pubblicazione scientifica sull’argomento. Il primo scritto “moderno” lo troviamo, invece, nelle Vite Parallele di Plutarco (120 a C.), dove si racconta che il prode condottiero, vincitore dei Cimbri e dei Teutoni, di nome Caio Mario, si sottopose ad un intervento chirurgico a base di cauterio, in piedi, davanti al suo esercito, per eliminare quella “fastidiosa” malattia che gli ricopriva le gambe di vene ingrossate, serpiginose, dolenti. L’intervento ebbe successo, ma lo storico racconta che le sofferenze furono tali che il centurione rinunciò a fasi operare l’altra gamba.
Da queste piccole note storiche si può capire da quanto tempo è presente e conosciuta nel mondo questa forma morbosa e quanto alta sia la sua l’incidenza nella popolazione. Tutto è iniziato da quando l’uomo è passato alla stazione eretta ed è stato “colpito” dalla”forza di gravità”.
Nei paesi industrializzati il 30% della popolazione è affetto da varici.
Nei nostri ambulatori specialistici vediamo in maggioranza soggetti di sesso femminile, non tanto per la maggior incidenza (in realtà modesta 2,7 % contro l’ 1% ), ma per il fattore estetico che maggiormente preoccupa le signore e che invece è largamente nascosto dai pantaloni e dalla peluria nel maschio. Questa malattia rappresenta un grave problema sociale ed economico in quanto la spesa per la sua cura , la cura delle sue complicanze, la perdita di giornate lavorative, richiede risorse misurabili in miliardi di Euro /anno in tutta Europa.
Le cause sono ancora sconosciute, si sa che la familiarità è presente in oltre il 78% dei casi, si conoscono i meccanismi che fanno degenerare la vena, i fattori di rischio, ma il reale motivo per cui un vaso sano e bello inizia improvvisamente e irrimediabilmente a modificare il suo aspetto e la sua funzione è ancora sconosciuto.
Tutto nasce dal “conflitto”tra le valvole, presenti lungo il decorso delle vene , deputate ad aiutare la risalita della colonna ematica, e le pareti venose create per trasportare il sangue dalla periferia verso il cuore. Alcune teorie asseriscono che la malattia nasca nelle valvole i cui lembi non riescono più a contenere il ritorno venoso e così facendo creano uno stato ipertensivo sulle pareti che diventano tortuose e si allungano. Altrettante teorie danno la ”colpa” alle pareti che si ammalano, si dilatano e fanno sì che le valvole non riescano più ad avvicinare i loro lembi, diventando incontinenti e capaci di sfiancare ulteriormente le pareti sottostanti.
Sui fattori che influenzano negativamente il sistema venoso sappiamo “quasi” tutto e ogni estate le riviste di “salute” ci riempiono di consigli su come comportarci nella vita per mantenere le nostre gambe nelle migliore condizioni. Sappiamo che, anche se non ben quantificabile , l’inquinamento gioca un ruolo negativo sull’insorgenza della malattia,in particola modo quello:
*Idrico e Atmosferico: che attraverso sostanze tossiche va ad interferire sul metabolismo parietale;
*Alimentare: con la presenza dei conservanti ( nitriti) ritenuti lesivi dell’endotelio;
*Acustico: sembra infatti che stress acustici ripetuti e di forte intensità siano in grado di creare un negativo “vasospasmo”.
Decisamente peggiore è il tipo di lavoro. Qui i dati scientifici hanno dimostrato che le varici sono presenti nel 64,5% dei soggetti che lavorano in piedi, nel 29.2% di coloro che svolgono un lavoro sedentario e solo nel 6.3% dei soggetti che lavorano in movimento. Oggi il lavoro è una fortuna e certamente non è permesso a molti scegliere quello più adeguato alla proprie gambe!
Se il lavoro non lo possiamo scegliere possiamo però evitare i fattori legati al così detto “Urbanesimo Patologico”. Infatti lo scegliere di camminare di più utilizzando meno mezzi di trasporto, stare attenti ad una climatizzazione errata, utilizzare arredi urbani esteticamente graziosi, ma ergonomicamente negativi, è certamente in nostro potere. Poi c’è la sedentarietà, il tabagismo, l’esposizione alle fonti di calore, gli sport, l’abbigliamento, eccetera.
Ne parleremo approfonditamente nelle prossime puntate, cercando di chiarire il perché di certe “raccomandazioni”, di smentire molti “luoghi comuni” portando argomenti seri e scientificamente verificati .
Piccola parentesi: la Gravidanza è anch’essa purtroppo un fattore di rischio per la malattia varicosa. Infatti le donne che hanno avuto almeno un bambino sono soggette due volte di più delle nullipare alla comparsa di varici. Meno paura devono fare quelle che compaiono durante la gestazione determinate dalla mutata situazione ormonale che crea una ipotonia della muscolatura liscia, talvolta accompagnata da una compressione diretta della massa uterina sui vasi pelvici ed iliaci.
In questo caso il ritorno ad una situazione “normale” farà scomparire oltre il 60% della patologia varicosa. Il primo trimestre è il periodo in cui l’incidenza è maggiore, perché in questa fase i movimenti ormonali sono più intensi.
Come si fa diagnosi di malattia varicosa?
Il 90% delle persone che si rivolgono allo specialista per prima cosa gli porgono con orgoglio (!) un il referto del loro Ecolocolordoppler.
Alla domanda: “ Perché ha fatto questo esame?” Le risposte sono sempre le stesse.
- Lo ha fatto anche la mia amica
- Volevo vedere se il sangue scorre bene
- Da sempre ho un insufficienza venosa (!) e mi hanno detto di farlo
- Siccome ho i capillari mi hanno detto che è meglio farlo
- Volevo sapere se devo operare le vene
Mi fermo qui, ma potrei andare avanti spiegando e documentando che l’Ecocolordoppler venoso ha solo uno scopo: verificare il sospetto di una Tromboflebite! Poi lo si utilizza “preoperatoriamente” per scegliere la tecnica più corretta nel momento in cui si sia deciso di intervenire sulla patologia. Ancora più risibile è quando il consiglio all’intervento chirurgico viene espresso basandosi solo sul criterio di una “incontinenza” valvolare!
La diagnosi è clinica, la scelta terapeutica dipende da essa e non dall’Ecocolordoppler! Su questo punto ritorneremo! In regione Lombardia vengono spesi ogni anno 15.milioni di Euro per un esame assolutamente inutile!E, finalmente si sta correndo ai ripari.
Come si tratta, oggi, la malattia varicosa?
Ho sottolineato oggi, perché non possiamo non considerare tutte le nuove tecniche che vengono proposte, certamente spinte dalla “tecnologia” e magari da interessi commerciali, ma ormai verificate da seri follow up e da casistiche con numeri significativi. Oggi si può ancora eseguire una colecistectomia a cielo aperto? Certamente, ma chiediamoci perché non lo fa più nessuno!
Questo argomento andrà trattato approfonditamente, con molta onestà intellettuale, senza pregiudizi o atteggiamenti ideologici.
Ma se non devo trattare drasticamente la malattia cosa posso fare?
Due rimedi: Calza Elastica-Trattamento farmacologico. Il primo è argomento ostico per le signore, specialmente se giovani! Eppure è certamente strumento importantissimo, capace di prevenire e di curare! Oggi non si può dire nemmeno che è brutto, infatti le ditte fanno ogni cosa per fornire alle persone materiale esteticamente bello e funzionale. Non in alternativa, ma in aiuto c’è anche la terapia medica con i moderni farmaci e integratori alimentari. La produzione di questi prodotti genericamente definiti Flebotonici è “praticamente” infinita, ma non tutti sono uguali e, altrettanto efficaci.
Oggi si assiste al confezionamento di miscele di sostanze secondo il pensiero che più roba ci metto più funziona! Grave errore! In questo modo non si rispettano i principi terapeutici che devono essere rivolti ad intervenire sui momenti patogenetici che determinano i sintomi della malattia venosa cronica. Innanzitutto i Bioflavonoidi, di cui la Diosmina è certamente la sostanza più studiata e utilizzata in commercio, agisce sull’endotelio regolando il rapporto fibrinolisi/fibrinosintesi e creando un film di protezione che corregge la permeabilità e diminuisce la fuoriuscita di liquidi. Questo determina un aumento del tono venoso e un conseguente miglioramento della stasi.
Forse non tutti ne conoscono il nome, ma il mellilotus officinalis è una pianta comune che possiamo osservare ai margini dei nostri boschi, appartenente alla famiglia delle leguminose, produce piccoli fiori gialli dal profumo intenso di miele (Melliloto:mei=miele, lotos:=trifoglio). Da esse si ricavano diversi composti, il più importante è la Cumarina il cui effetto fondamentale è quello sul drenaggio linfatico. Inoltre riduce il catabolismo delle catecolamine con conseguente miglioramento della capacità contrattile dei vasi: E’ un “drenante” per eccellenza. E poiché il comparto linfatico è sempre interessato nel processo della malattia venosa, questa sostanza deve essere sempre presente all’interno del trattamento farmacologico. Se poi vogliamo ulteriormente aiutare il microedema pericapillare a dissolversi, ci potrà aiutare la Sinensetina (estratta dal Tè di Java).
L’uso di questi farmaci è assolutamente utile, ma, proprio per la loro naturale conformazione, non possiamo aspettarci un risultato immediato, dobbiamo avere la costanza di usarli correttamente per il tempo prescritto.
Scopo di questo mie chiacchierate con voi non è quello di farvi diventare esperti flebologi, ma quello di aiutarvi a capire qual è il Vs. problema ( qualora esista!), di che entità, quale il percorso più corretto per risolverlo.
Quindi parleremo molto di gambe!
Le gambe
Una famosa canzone nota ai nostri genitori o ai nostri nonni, cantata dal Trio Lescano, recitava così: “…saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe a me piacciono di più…..”.
Anche se oggi si sono un po’ allentati i simboli erotici di cui erano cariche, le gambe rimangono sempre uno degli emblemi della femminilità, una delle parti di maggior seduzione e fascino del corpo femminile.
Ma anche le gambe si ammalano e dobbiamo imparare a conoscere e a curarle. Ma prima di entrare nel vivo dei problemi mi sembra bello riportare quello che il filosofo Seneca scriveva nelle lettere a Lucillo:“ ..una donna non è colei di cui si lodano le gambe o le braccia o altre parti del corpo, ma quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le singole parti.”