LESS IS MORE – come applicare questo concetto alle malattie del cuore

In medicina fare meno, a volte, significa fare meglio.

Ce lo spiega il Dr. Bruno Passaretti, cardiologo, in questo interessante e molto dettagliato scritto sull’argomento di cui qui riportiamo solo uno stralcio e, a fondo pagina, il link all’articolo completo.

Introduzione all’argomento: overdiagnosis and overtreatment in medicina

I decenni passati si sono contraddistinti per un notevole incremento della spesa sanitaria. Tale aumento è costante e percepibile di anno in anno (Figura 1, spesa sanitaria in Italia dal 19 al 2004), ma diventa addirittura eclatante se si confronta quello che in sanità si spendeva negli anni ’70 con quello che si è speso negli anni 2000.

Il decuplicamento della spesa non ha tuttavia portato a un altrettanto importante miglioramento della sopravvivenza, che dal 1970 al 2000 è aumentata solo di pochi mesi o al massimo qualche anno (Figure 2 e 3) (1).

fig.1

Un’altra constatazione utile per introdurci a questo argomento è il fatto che, se è vero che vi è una relazione lineare tra il PIL di ogni Stato e quanto quello stesso Stato spende in sanità, non vi è una relazione altrettanto evidente tra la spesa sanitaria e la sopravvivenza degli abitanti di quello Stato.

C’è chi spende in sanità tantissimo per una sopravvivenza media relativamente bassa, come ad esempio gli Stati Uniti, e chi spende in modo più contenuto a fronte di una sopravvivenza decisamente migliore – è il caso del Giappone (Figura 4) (1).

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Si intendono per overtreatment tutti quei trattamenti che non hanno dimostrato un beneficio incrementale rispetto alla terapia abituale, in genere più economica.

All’overtreatment si affianca come parente stretta l’overdiagnosis, ossia eccesso di diagnosi, che indica (conseguentemente all’ampliamento della definizione di malattia) il concetto di diagnosi in una persona altrimenti sana di una malattia non evolutiva, che non sarà mai sintomatica né causa di mortalità precoce.

È il caso di tutti i cosiddetti “incidentalomi” che si riscontrano in modo occasionale quando si effettuano esami di imaging come ecografie, TC o RM, e che di conseguenza portano a ulteriori esami di secondo o terzo livello, biopsie, interventi o anche solo alla ripetizione seriale nel tempo dell’esame stesso.

Addirittura alcuni tipi di tumore si possono comportare in questo modo (Figura 7) (3).

L’overdiagnosis affibbia l’etichetta di malato alle persone sane, le danneggia esponendole a ulteriori test diagnostici e trattamenti inappropriati, aumenta ansia e stress e concorre allo spreco di preziose risorse che potrebbero essere utilizzate per la prevenzione e la terapia di vere malattie.

Gli ampliamenti delle definizioni di malattia possono essere effettuati con una delle seguenti “strategie”: creazione di uno stadio di “pre-malattia” definito a rischio per i soggetti prima considerati normali (ad es. pre-ipertensione, malattia di Alzheimer), abbassamento delle soglie diagnostiche (ad es. ipercolesterolemia, depressione, reflusso gastro-esofageo), disponibilità di nuove tecniche e strategie diagnostiche (ad es. artrite reumatoide, sclerosi multipla, infarto del miocardio)” (N. Cartabellotta) (4,5).

Se è estremamente difficile capire se vi sia stata overdiagnosis nel singolo individuo, è invece relativamente più semplice capire se vi sia stata overdiagnosis nell’ambito di una popolazione.

Nel caso dei tumori, ad esempio, si possono comparare i tassi di diagnosi di cancro e morte per quel tipo di cancro nel tempo.

Se le due curve crescono progressivamente in modo sovrapponibile si tratta di un reale aumento nell’incidenza del tumore; nel caso invece le nuove diagnosi di cancro crescano nel tempo mentre la morte rimanga stabile, si può configurare il rischio di overdiagnosis: aumenta, sostanzialmente, la diagnosi di forme di cancro a lento o nullo accrescimento che non determineranno mai la morte dell’individuo.

Il tumore alla prostata si è comportato in questo modo con l’introduzione del PSA (figura 8).

Ovviamente non si può sostenere che tale implementazione non abbia dato alcun beneficio, e non è sempre facile discriminare tra una diagnosi precoce e una overdiagnosis.

Nel caso del cancro della prostata vi sono dei rilievi autoptici davvero impressivi da parte degli anatomopatologi della Cleveland Clinic e di Detroit, che esaminarono le prostate rispettivamente di uomini deceduti per tumore della vescica e di uomini deceduti in incidenti, riscontrando una elevatissima prevalenza di tumore della prostata in uomini assolutamente ignari di questo.

In particolare, il dieci per cento di ventenni deceduti per incidenti erano affetti da tumore della prostata; tale percentuale saliva all’80% delle persone ultrasettantenni (figura 9).

È chiaro che se più di metà delle persone anziane è portatrice di tumore prostatico ma solo il 3% morirà di esso il potenziale per l’overdiagnosis è enorme (3).

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Il testo completo Dr. Bruno Passaretti lo trovate qui di seguito

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