Trachea: il trapianto completo ora è possibile?

Il primo trapianto completo di trachea è durato 18 ore ed è stato eseguito da una equipe di 50 persone.

L’equipe, chirurghi, infermieri e anestesisti sono stati guidati dal dott. Eric M. Genden.

L’intervento

L’intervento, eseguito presso l’ospedale Mount Sinai di New York, è il risultato di ben 30 anni di studi, si è svolto a gennaio scorso e, fino ad oggi, non sono riscontrate problematiche di rigetto, sebbene non sia ancora scongiurato.

Si, perché per dichiarare l’intervento riuscito al 100% c’è bisogno di tempo.

Tempo durante il quale si osserverà l’evoluzione dell’organo trapiantato.

Trapianto della trachea: cauto ottimismo

Non è il caso di cantare vittoria e di pensare che sia ormai tranquillamente fattibile.

L’intervento è sì riuscito con successo ma bisogna vedere se, appunto, non si presenteranno problemi.

Inoltre, per poterlo considerare un intervento fattibile è necessario che vengano eseguiti diversi interventi simili e che tutti, o la maggior parte, abbiano esito positivo.

Perché è difficile il trapianto della trachea

La trachea, organo tubolare che collega la laringe ai polmoni, ha una struttura molto complessa in quanto percorsa da una fitta rete di vasi sanguigni.

L’intervento, finora con esito positivo, è stato eseguito asportando la trachea al donatore e impiantandola nella paziente ricevente collegando tutti i piccoli vasi sanguigni, che portano ossigeno all’organo, ai vasi sanguigni della paziente.

Per favorire l’afflusso di sangue ai tessuti, man mano ricostruiti, l’equipe ha utilizzato parte di esofago e tiroide, operazione che ha, di fatto, consentito la perfetta vascolarizzazione.

Il dott. Eric Genden afferma in merito:  “Il nostro protocollo di trapianto e rivascolarizzazione è affidabile, riproducibile e tecnicamente avanzato”.

Durante i trent’anni di studi e tentativi di esecuzione del trapianto di trachea la problematica maggiore è stata proprio la vascolarizzazione.

Trapianto di trachea: le prospettive per il futuro

Come riportato in un articolo del Corriere della Sera Salute a riguardo, le osservazioni fatte dal team del professor Genden durante il complesso intervento serviranno a sviluppare il Programma di trapianto tracheale del Mount Sinai.

Questo ha ottenuto l’approvazione nel 2016 per una sperimentazione clinica per eseguire il primo trapianto tracheale di segmento lungo utilizzando una trachea di un donatore deceduto.

 L’obiettivo di questo programma è offrire ai pazienti che hanno subito danni estesi alla trachea un’alternativa duratura ai trattamenti attuali, inclusa la tracheotomia.

I trattamenti esistenti sono efficaci solo in circa la metà degli interventi chirurgici eseguiti, possono essere solo temporanei e sono spesso associati a complicazioni, come cicatrici o ostruzione delle vie aeree.

Il trapianto tracheale da donatore offre nuove speranze ai candidati, in particolare a coloro che hanno subito: trauma / incidenti alla trachea, danni da intubazione, tumori delle vie aeree o difetti tracheali congeniti.

Sul sito ufficiale del Mount Sinai viene osservato che questo protocollo non riguarda la trachea “tissutale” o “sintetica bioingegnerizzata”, piuttosto solo la trachea del donatore.

 Il protocollo utilizza appunto un segmento di trachea con la ghiandola tiroidea e i suoi vasi associati. 

La ricerca suggerisce che questo approccio può fornire ai pazienti un’opportunità unica di respirare e parlare normalmente.

 

Lavinia Giganti – Redazione

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