Un numero sempre maggiore di donne avverte l’esigenza di avere un seno più prosperoso e per questo sceglie l’intervento di mastoplastica additiva che, come indicazione primaria, ha l’aumento del volume mammario attraverso l’utilizzo di protesi.
Il volume, però, non può e non deve essere tutto perché i desideri espressi dalla donna vanno sempre valutati con attenzione dal chirurgo plastico, che deve essere lungimirante e pensare alla forma che assumerà la mammella a fine intervento, condizionando così il risultato estetico definitivo.
L’intervento chirurgico deve mirare a ottenere in primis un seno naturale, le mammelle devono essere morbide al tatto e il risultato deve essere durevole nel tempo. Questo è il messaggio che lo specialista deve trasmettere, a fronte di richieste anche estreme, affinchè la persona che ha di fronte capisca la realtà apprezzabile a cui è corretto aspirare.
Per raggiungere l’obiettivo illustrato vi sono due requisiti fondamentali:
- una tecnica chirurgica d’avanguardia e sofisticata, meditata in funzione della scelta delle protesi;
- l’utilizzo di protesi mammarie al gel di silicone di ultima generazione.
I chirurghi plastici italiani sono leader nella scelta delle protesi di ultima generazione in quanto le utilizzano dal 1993, non essendoci stata in Italia alcuna limitazione all’utilizzo delle stesse, come invece è accaduto negli Stati Uniti.
Esistono fondamentalmente due tipi di protesi: anatomiche e rotonde.
Innanzitutto, bisogna precisare che le protesi rotonde sono in realtà semisferiche e possono essere utilizzate quando il seno è già sufficientemente rappresentato e necessiti di un semplice aumento volumetrico, senza che ne debba modificare la forma.
Al contrario, le protesi anatomiche rappresentano la scelta più adatta in quelle pazienti prive di adeguato parenchima (tessuto) mammario in cui è quindi necessario concentrarsi sia sul volume che sulla forma che la mammella dovrà avere a fine intervento.
I vantaggi principali delle protesi anatomiche possono essere così riassunti: 1) forma del seno più naturale, legata cioè a una forma “a goccia”; 2) possibilità di scegliere la protesi più adatta alla singola paziente (in quanto non viene considerato il solo volume, ma anche le dimensioni della protesi in larghezza, altezza e proiezione).
La tecnica chirurgica negli ultimi anni si e’ sempre più perfezionata. Le vie di accesso per l’inserimento delle protesi possono essere tre: solco sottomammario, via ascellare, via periareolare.
Personalmente preferisco l’incisione al solco sottomammario, come la maggior parte dei colleghi, una opzione che permette il confezionamento della tasca sottomuscolare in cui verrà posizionata la protesi con massima precisione e minimo sanguinamento.
Questa tecnica di incisione consente di ottenere risultati esteticamente più naturali, garantendo una maggior durata del risultato nel tempo; naturalmente, non si può essere dogmatici a priori e in alcuni casi la scelta delle altre via di accesso può essere preferenziale e altrettanto valida.
Ci sono casi, come la ptosi (caduta) del seno, in cui il semplice intervento di mastoplastica additiva non è risolutivo, anzi può essere peggiorativo e infrangere i sogni della donna.
E’ proprio per questi specifici casi che il sottoscritto ha messo a punto una tecnica denominata “slip sliding” in cui, con una minima incisione emiareolare superiore, si riesce sia a inserire la protesi in sede sottomuscolare che a riposizionare superiormente il parenchima mammario scivolato in basso, restituendo al seno un aspetto piacevole e naturale.
L’intervento viene eseguito in regime di Day-Hospital o con una notte di degenza, preferibilmente in anestesia generale. Raramente si utilizzano drenaggi che eventualmente sono rimossi la mattina seguente.
L’incisione cutanea viene chiusa con punti sottocutanei riassorbibili e con pochi punti esterni talmente sottili da non lasciar alcun segno una volta rimossi. Non vengono applicate fastidiose fasciature dopo l’intervento, ma solo un reggiseno contenitivo. La paziente potrà riprendere gradualmente le sue attività quotidiane dopo 3-4 giorni e l’attività fisica dopo circa 1 mese.
Le protesi sono fatte per durare a lungo, non scadono dopo 10 anni, anche se non è possibile prevederne un numero preciso. Oggi gli standard qualitativi di certe protesi sono notevolmente migliorati rispetto al passato, in quanto obbligati a rispettare gli standard qualitativi CE e dell’Ente Americano F.D.A. (Food & Drug Administration). Per concludere, è doveroso un richiamo alla realtà.
La paziente deve essere consapevole che avere una protesi non sarà mai come avere un tessuto biologico proprio; la capsula che si forma attorno alla protesi può nel tempo vanificare il risultato estetico per contrattura o semplicemente wrinkling (ondulazioni visibili sulla cute), soprattutto nel caso di posizionamento sottoghiandolare.