Ipertensione arteriosa: le strategie innovative per raggiungere il valore pressorio ottimale

L’ipertensione arteriosa rappresenta il principale fattore di rischio cardiovascolare a livello globale.

E’ responsabile infatti di almeno 10 milioni di morti all’anno (13.5% di tutte le morti) e predispone a numerosi eventi cardiovascolari tra cui:

  • l’ictus ischemico ed emorragico.
  • L’infarto del miocardio.
  • La morte improvvisa.
  • Lo scompenso cardiaco.
  • La vasculopatia periferica.
  • La fibrillazione atriale.

Allo stato attuale l’ipertensione arteriosa risulta non diagnosticata in circa la metà dei pazienti ipertesi.

Inoltre, nonostante la progressiva sensibilizzazione alla prevenzione primaria e i trattamenti farmacologici disponibili,  dati recenti riportano come solamente un paziente ogni tre raggiunga gli obiettivi pressori ottimali indicati  dalla linee guida internazionali.

Ipertensione arteriosa: perché è difficile raggiungere il valore pressorio ottimale?

Le due principali responsabili della difficoltà di raggiungimento di valori pressori ottimali sono: l’ipertensione resistente e la scarsa aderenza dei pazienti al trattamento consigliato dai medici.

Ipertensione resistente

L’ipertensione resistente è definita come il non raggiungimento del target di pressione arteriosa nonostante trattamento con tre differenti classi di farmaci tra cui un diuretico, alla dose ottimale o meglio tollerata.

La prevalenza dell’ipertensione resistente tra la popolazione ipertesa adulta è riportata tra il 12% e il 18% circa dei pazienti.

Tale categoria di pazienti presenta un maggior rischio di eventi cardiovascolari rispetto ai pazienti con ipertensione arteriosa controllata.

Scarsa aderenza

La scarsa aderenza al trattamento rappresenta la causa principale del non raggiungimento di un adeguato controllo pressorio, con circa il 50% dei pazienti ipertesi che parrebbe interrompere il trattamento farmacologico entro il primo anno dopo la prescrizione.

La frequenza di somministrazione del farmaco,  gli effetti collaterali e il beneficio a lungo termine atteso dalla terapia rappresentano i fattori che più impattano sulla scelta di interruzione della terapia farmacologica da parte dei pazienti.

In questo scenario risulta pertanto cruciale individuare strategie innovative che possano affiancarsi o in alcuni casi sostituirsi alla terapia farmacologica per garantire un più facile raggiungimento dei valori target di pressione arteriosa e quindi migliorare la prognosi soprattutto nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare.

La terapia innovativa per trattare l’ipertensione arteriosa: la denervazione renale

La denervazione renale rappresenta un’opzione terapeutica innovativa e sicura per il trattamento dell’ipertensione refrattaria alla terapia farmacologica tradizionale.

Il trattamento si basa sul legame tra i nervi renali del Sistema Nervoso Simpatico (SNS) e la pressione sanguigna.

I segnali provenienti dal SNS e diretti ai reni aiutano a controllare il flusso sanguigno renale, la ritenzione dei sali e l’attivazione del sistema renina-angiotensina, un meccanismo ormonale di regolazione della pressione.

A loro volta, i segnali provenienti dai reni e diretti al Sistema Nervoso Centrale attivano meccanismi di regolazione globali, ma possono anche causare una stimolazione eccessiva, che provoca ipertensione arteriosa.

In cosa consiste la denervazione renale


La denervazione renale consiste nel disattivare in modo selettivo parte delle terminazioni nervose che decorrono lungo le pareti esterne delle arterie renali, determinando così una duratura riduzione della pressione arteriosa.

La procedura, che coinvolge le équipe della Radiologia interventistica, Emodinamica, Rianimazione e  Cardiologia, è relativamente semplice.

Si ricorre ad un catetere per ablazione che dall’arteria femorale raggiunge le arterie renali; qui, attraverso il catetere, viene erogata energia a radiofrequenza a bassa potenza, finalizzata a disattivare le terminazioni del nervo simpatico, senza ledere il vaso.

I primi studi clinici che hanno testato la procedura di denervazione renale nel trattamento dell’ipertensione arteriosa resistente non controllata hanno prodotto risultati discordanti.

Una nuova generazione di studi clinici tuttavia, supportati dall’affinamento tecnico della procedura e da protocolli rigidi di selezione, ha prodotto risultati molto promettenti in diversi sottogruppi di pazienti ipertesi, sia in aggiunta alla terapia farmacologica che in sua assenza.

Da una popolazione con ipertensione resistente non controllata inoltre l’attenzione è stata rivolta anche ai  pazienti “ipertesi resistenti” (i.e. pazienti che necessitano di almeno 4 diverse categorie di farmaci per mantenere una pressione arteriosa soddisfacente).

Sono stati inclusi nel percorso di selezione dei candidati non solo i semplici valori pressori, ma anche il profilo di rischio cardiovascolare globale, la tolleranza e l’aderenza alla terapia farmacologica e la preferenza del paziente stesso.

In quest’ottica la procedura di denervazione renale si offre quale unica strategia terapeutica con efficacia dimostrata nel paziente con scarsa aderenza alla terapia farmacologica.

Dr.ssa Elena Barbaresi, cardiologa – Dr. Tommaso Lupattelli, radiologo interventista

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