Siamo ormai abituati, negli ultimi anni, a sentire parlare di infiammazione come causa o concausa di svariate patologie oltre che responsabile del mancato dimagrimento.
Se pensiamo però alla definizione di infiammazione come processo riparatorio qualcosa sembra stridere in queste affermazioni.
Cos’è una infiammazione
L’infiammazione, o flogosi come viene altrimenti chiamata, è definita in modo molto chiaro.
“Meccanismo di difesa non specifico o innato, che costituisce una risposta protettiva dell’organismo, seguente all’azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale nonché di avviare il processo riparativo”.
Le vie attraverso cui l’infiammazione agisce sono molteplici.
Dall’aggregazione piastrinica a carico dei trombossani alla vasocostrizione mediata dalle prostaglandine.
Perche l’infiammazione sarebbe oggi considerata causa o concausa di patologie?
Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo definire meglio alcune caratteristiche della flogosi e le diverse configurazioni che possono manifestarsi.
Infatti possiamo parlare di infiammazione acuta temporanea e localizzata o di infiammazione cronica diffusa.
Nel primo caso della flogosi localizzata temporanea ci riferiamo di solito a eventi traumatici come una ferita in seguito ad una caduta o ad una distorsione del ginocchio o della caviglia per esempio.
In queste circostanze il processo infiammatorio ha il ruolo di accelerare la riparazione reclutando nel distretto corporeo interessato un gran numero di macrofagi per asportare la “noxa patogena” e riparare il danno.
Questo processo, data la sua natura riparativa, non va mai ostacolato o rallentato con nessun antinfiammatorio.
L’infiammazione cronica diffusa
Diverso è lo scenario dell’infiammazione cronica diffusa, causata da continuativa e protratta esposizione ad agenti tossici inquinanti quali tossine, xenobiotici oppure i medesimi alimenti eccessivamente reiterati nella dieta.
L’ esposizione continuativa per esempio agli stessi antigeni alimentari può provocare fenomeni di sensibilità alimentari con sintomi del tutto sovrapponibili a delle vere e proprie allergie.
Ciò costituirebbe un forte segnale di squilibrio per il sistema immunitario che viene costantemente attivato.
L’infiammazione cronica diffusa, nelle quali rientra anche la così detta infiammazione da cibo, costituisce il terreno fertile per l’insorge di patologie anche gravi.
Può anche contribuire a ridurre o bloccare persino il processo di dimagrimento.
Questo fenomeno avviene in virtù del fatto che quando il corpo è infiammato calano i livelli di leptina nella regolazione della fame e nel controllo del peso corporeo.
La leptina è un ormone molto importante nell’attivazione del metabolismo,
Il livello leptinico cala perché la leptina viene legata dalla proteina c reattiva, della quale i livelli si innalzano durante il processo infiammatorio.
Essendo cosi legata alla proteina C reattiva, la leptina non può svolgere il suo effetto regolatore nei centri della fame, dell’attivazione metabolica e della mobilizzazione delle riserve lipidiche.
Vanificando gli sforzi alimentari e le buona volontà di chi vuol perdere peso.
Ad aggravare questo quadro si aggiunge il fatto, ormai ben noto, che nei processi infiammatori cornici diffusi aumenta l’induzione dello stato di resistenza insulinica.
Ciò di sicuro non agevola il controllo del peso perché, come sappiamo, l’effetto dell’insulina è principalmente un effetto anabolico che tende a trasformare lo zucchero in eccesso nel sangue in riserve lipidiche.
Le diverse modalità di approccio alle due infiammazioni
Si può ora capire, a monte di quanto esposto, che le due tipologie di infiammazione siano radicalmente differenti e necessitano di due approcci ben diversi.
L’infiammazione acuta localizzata temporanea va lasciata fluire per non contrastare i processi riparativi, mentre quella cronica va controllata.
Questo per evitare tutte le conseguenze negative che possono scaturire da un quadro infiammatorio cronicizzato.
Facciamo un esempio di un soggetto sensibile al lattosio.
Fin da quando l’insorgere della sensibilità incomincia a manifestarsi, lo stato dell’epitelio intestinale inizia a modificarsi per via dell’effetto dell’antigene alimentare lattosio, non più tollerato, e della risposta infiammatoria che esso induce nell’ intestino.
Questa infiammazione continuerà fino a quando l’assunzione di lattosio viene reiterata.
Successivamente, se lo stimolo infiammatorio non viene sospeso o rimosso, l’infiammazione può acuirsi e cronicizzandosi.
Ciò indurrebbe un quadro dileaky gut sindrome, sindrome dell’intestino permeabile o intestino colabrodo, con ulteriore intensificazione della risposta infiammatoria e seri danni all’assorbimento di sostanze nutrizionali.
A questo punto a risentirne non sarà più il solo epitelio ma anche l’equilibrio del bio-film batterico che ricopre l’epitelio stesso chiamato microbiota.
Dall’equilibrio del microbiota dipendono molte funzioni protettive, di assimilamento, di immunoesclusione e molto altro che conferiscono equilibrio e funzionalità all’intestino stesso.
L’infiammazione cronica a livello intestinale può avere significativi modificazioni del microbiota come è noto dalla letteratura scientifica sulle patologia infiammatorie intestinali.
L’infiammazione cronica di basso grado
Risulta importante capire e considerare il ruolo dell’infiammazione cronica diffusa che sempre più spesso viene anche chiamata infiammazione cronica di basso grado.
Questa definisce un quadro infiammatorio generalizzato da molti piccoli tizzoni sparsi nel corpo piuttosto che un grande focolaio concentrato nel ginocchio o nella caviglia lesionata.
Questo significa che le molecole dell’infiammazione note come citochine sono sparse per tutto il corpo e non sono localizzate.
L’infiammazione di basso grado derivante dall’ingestione di antigeni alimentari non tollerati dal nostro sistema immunitario intestinale danno luogo a una vera e propria infiammazione da cibo.
Sempre maggiori sono le situazioni dove le sensibilità alimentari sono coinvolte in quadri infiammatori e patologie infiammatorie intestinali.
Ma anche extra intestinali come patologie infiammatorie osteo-articolari o in patologie infiammatorie dei vasi o ancora in patologie autoimmuni.
Da questo possiamo capire il ruolo di primo grado svolto dalla nutrizione nella promozione del benessere o malessere a seconda di come ci nutriamo.
Scegliendo il cibo corretto ad ogni pasto scegliamo la salute
La possibilità di impostare una nutrizione consapevolmente calibrata per stimolare positivamente il metabolismo, il sistema immunitario e promuovere un quadro antinfiammatorio nel corpo è un grande potenziale che non possiamo trascurare.
Soprattutto in un’ottica di prevenzione e cura.
La bibliografia scientifica ormai consta di innumerevoli evidenze scientifiche che mostrano come attraverso una nutrizione calibrata e funzionale si possa intervenire a supporto o in contrasto a stati infiammatori.
Imparare a conoscere se stessi, la nutrizione più funzionale per la propria costituzione, per il proprio stile di vita e per le proprie condizioni di salute, anche attraverso il supporto di un Biologo nutrizionista, può essere una scelta opportuna.
E’ importante per prevenire e mantenere il corpo fuori da quadri infiammatori cronici, imparare a nutrirsi facendo prevenzione e imparare a considerare l’alimentazione e il corretto stile di vita come il primo farmaco a nostra disposizione.
Dr. Marco Casati, Biologo Nutrizionista, Kinesiologo e Naturopata Studio Sinergia a Bergamo
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