Tumore della prostata: chirurgia mininvasiva quando necessario

Focus

Il tumore (carcinoma) della prostata (CaP) è uno dei quattro tumori più diffusi in Italia insieme a quelli del colon retto, del seno e del polmone. Rappresenta il principale tumore del sesso maschile nell’Europa del nord dimostrando progressivo incremento nelle zone del sud Europa. Se il progressivo aumento dell’incidenza del CaP può essere correlato al prolungamento dell’età media, è doveroso sottolineare come nell’ultima decade si sia evidenziato un progressivo aumento della percentuale di sopravvivenza patologia correlata, dal 73.% nel 1999 all’83.4% nel 2007, grazie anche alla diagnosi precoce.  Ad essere più a rischio sono gli over 50, ma circa tre quarti dei casi riguardano uomini con più di 65 anni. E’ riconosciuta una familiarità per il CaP per il quale si riconosce nei giovani adulti una probabilità superiore al 30% rispetto alla popolazione generale se figli di padri con CaP. In tali circostanze è consigliata una valutazione urologica già a partire dal 35esimo anno di età.

Non esiste una sintomatologia urologica correlata che in genere si manifesta nelle situazioni in cui si ha un interessamento degli organi contigui: vescica (disuria, ritenzione urinaria, idronefrosi mono/bilaterale), vescicole seminali (emospermia, orgasmo secco). Per quanto non dirimente, il valore del PSA, in quanto può elevarsi sia per l’età del paziente, per l’aumento volumetrico della prostata, fenomeni flogistici ed anche per la presenza di tumore, rappresenta ad oggi l’unico marker organo specifico. Per tale motivo sono stati formulati dei range, intervalli di età ai quali attribuire un massimo valore di PSA al di sopra dei quale si deve considerare la possibile diagnosi di CaP. Dal punto di vista diagnostico, al PSA vanno affiancati l’esplorazione rettale e, di recente, l’ausilio della risonanza magnetica multiparametrica della prostata. Oggi, il problema diagnosi del tumore prostatico più che un possibile ritardo deve fare i conti con una diagnosi precoce, ovvero il rischio di effettuare un “over treatment”, trattamento eccessivamente invasivo per tumori che probabilmente, nel corso della vita del paziente, non darebbero mai segni di sé. Parliamo dei tumori indolenti, per i quali l’atteggiamento clinico consigliato è “la vigile attesa”, cioè la valutazione nel tempo con dosaggi seriati del PSA, ripetizione ad un anno della biopsia prostatica ed RM multiparamentrica.

Per tutti gli altri casi di CaP il trattamento di scelta è la chirurgia mininvasiva: laparoscopia tradizionale o Robot Assisted. La minimizzazione del danno chirurgico, oltre a determinare un più rapido recupero delle funzioni vitali del paziente con rapida dimissione e ritorno alla vita lavorativa, determina anche una riduzione del rischio di incontinenza ed impotenza. Per casi estremi possono essere prese in considerazione: radioterapia, brachiterapia, terapia ormonale, chemioterapia (HIFU) in quello che può essere parte di un trattamento multimodale. Volendo fare un grosso passo indietro, possiamo parlare di prevenzione primaria e secondaria. La prevenzione primaria riguarda un corretto stile di vita con alimentazione ricca in fibre e proteine prevalentemente vegetali, ridotto apporto di carni rosse, attività fisica e controllo del peso corporeo. La prevenzione secondaria o chemioprofilassi è relativa all’utilizzo di farmaci e/o fitofarmaci che hanno la possibilità di prevenire il tumore della prostata (vitamina A, D, E, selenio), oltre che attenersi a controlli periodici. A prescindere dagli stili di vita, però, con l’invecchiamento aumenta la probabilità di essere colpiti dalla patologia, presente in forma latente in oltre il 70% delle persone con più di 80 anni. Ovvio è che nell’ipotesi di un trattamento per CaP, diversi sono i parametri che devono essere valutati, età, stadio del CaP, comorbidità consentendo ad oggi una personalizzazione terapeutica.

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Dott. Giacomo Piero Incarbone

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