Terapia focale: il tumore della prostata può essere guarito senza chirurgia distruggendo solo la parte malata

Focus

Se ne parla da diversi anni. Oggi ci siamo: il sogno è diventato realtà. Anche per il tumore prostatico è concreta la possibilità, in casi ben selezionati, di evitare l’asportazione completa della ghiandola prostatica per guarire il tumore. Per altri organi questo è possibile già da tempo. Pensiamo al tumore della mammella che, sempre più spesso, grazie alla diagnosi precoce, si avvale della “quadrantectomia” al posto dell’asportazione totale della ghiandola; pensiamo al tumore renale che, quando ha un diametro inferiore ai 3 cm, può essere asportato salvaguardando la funzionalità del rene. Sono solo alcuni esempi per avvalorare la ricerca in atto tesa appunto a salvaguardare, per quanto riguarda la prostata, funzioni fondamentali come la continenza urinaria e l’erezione che sono a rischio elevatissimo con l’asportazione completa della ghiandola prostatica, sia che si intervenga con la chirurgia tradizionale sia con le moderne tecniche laparoscopiche e robotiche (per mezzo della quali viene eseguita la stessa asportazione totale della ghiandola senza il taglio esterno della chirurgia tradizionale).

La letteratura è unanime infatti nel dimostrare che i risultati funzionali (continenza urinaria ed erezione) non differiscono confrontando i diversi approcci alla ghiandola quando si voglia realizzare un’asportazione completa. Piuttosto è assodato che, con la chirurgia robotica, aumenta il rischio di lasciare dei margini positivi, cioè che rimangano cellule neoplastiche che potranno dar luogo nel tempo a una recidiva locale del tumore, a meno di intervenire subito con la Radioterapia che, da parte sua, non manca di effetti collaterali importanti in una discreta percentuale di casi.

Cercherò di chiarire quali sono i vantaggi e i limiti della terapia focale, in che modo è realizzabile, ma soprattutto cercherò di indicare chi può avvalersi di queste metodiche e come realizzare questa selezione fra i pazienti potenzialmente candidabili.

Quali siano i vantaggi di una terapia focale è facilmente intuibile: distruggere solo il tumore senza dover asportare completamente (in caso di chirurgia) o irradiare in toto (in caso di radioterapia esterna) la ghiandola prostatica per evitare tutti i problemi che possono insorgere con queste terapie tradizionali.

Le problematiche connesse a tale approccio conservativo sono riassumibili in 3 concetti:

  1. possiamo trattare solo tumori piccoli, cioè iniziali, con un diametro massimo di 12 -13 mm, che non infiltrino la capsula prostatica, che non superino il numero di 2 e che abbiano un’aggressività istologica medio-bassa;
  2. dobbiamo avere a disposizione tecnologie sicure per individuare, tipizzare e localizzare esattamente la neoplasia;
  3. dobbiamo affidarci a metodiche ablative che siano precise.

Quanti sono statisticamente i tumori che possono essere diagnosticati in una fase considerata idonea per un  trattamento focale? Circa il 20% dei tumori che vengono oggi diagnosticati nel corso dello screening opportunistico che è in atto anche nel nostro Paese.

Come fare per giungere a stratificare le neoplasie prostatiche, una volta diagnosticate per mezzo della biopsia prostatica, e per poter indirizzare quelle rispondenti ai criteri enunciati più sopra alla terapia focale costituisce il problema più arduo. Bisogna infatti che chi effettua una biopsia prostatica, una volta in possesso di un referto positivo per carcinoma, prenda in considerazione la possibilità di attuare una terapia focale senza limitarsi, come accade il più delle volte, a far scegliere al paziente fra terapia radicale (chirurgica o radioterapica) e “sorveglianza attiva”. Il concetto di sorveglianza attiva si è fatto strada negli ultimi 15 anni grazie a molti studi scientifici che hanno dimostrato in maniera sicura come molto spesso venga attuata una terapia radicale in presenza di tumori che non sarebbero mai andati incontro a uno sviluppo capace di mettere a rischio la sopravvivenza del paziente, con il risultato di provocare solo uno scadimento della qualità di vita in una elevatissima percentuale di casi

Basti dire che la differenza di sopravvivenza a 15 anni dalla diagnosi fra soggetti operati di prostatectomia radicale e soggetti non trattati, lasciati senza alcuna terapia, supera di poco il 5% a favore di quelli trattati con chirurgia radicale. Oggi però parliamo di “sorveglianza attiva”, non di astensione da ogni terapia attiva per tutto il decorso della malattia (con i risultati visti sopra), prevedendo una sorveglianza continua di quei pazienti giudicati portatori di malattia poco estesa e di aggressività bassa, mediante PSA e biopsie di ristadiazione ripetuti negli anni, con la possibilità sempre aperta di passare dalla sorveglianza alla terapia attiva nei casi in cui la biopsia ripetuta dovesse far riscontrare una progressione della malattia. In questo modo si è constatato che, a 5 anni dall’inizio della sorveglianza, il 50% circa dei pazienti può giovarsi di una’astensione dalla terapia radicale conservando la propria qualità di vita. Ma ancora troppi risultano gli operati rispetto a quelli che ne avrebbero realmente bisogno!

E’ fra questi pazienti, che inizialmente sembrano adatti ad una sorveglianza attiva per il ridotto volume di neoplasia riscontrato al primo accertamento bioptico, che sono individuabili i potenziali beneficiari di una terapia “focale” che, senza compromettere la qualità della vita, può evitare di lasciare progredire forme a rischio che non possono essere individuate con il solo mappaggio bioptico a random della prostata, per il rischio insito in ogni procedura bioptica di misconoscere focolai tumorali o di ritenere il tumore di aggressività inferiore a quella reale.

Ebbene, oggi abbiamo a disposizione metodiche di imaging, grazie alla Risonananza Magnetica Multiparametrica, di una precisione diagnostica fino a qualche anno fa impensabile e metodiche che permettono di fare la biopsia prelevando il tessuto da esaminare esattamente dove le immagini fanno sospettare la presenza della neoplasia senza affidarci solamente, come avviene di regola, al caso, grazie alla possibilità di fondere le immagini della Risonanza Magnetica con l’ecografia della prostata, o di effettuare direttamente la biopsia mirata sul focolaio sospetto in corso di Risonanza.

Certamente ci sono reali problemi a questo livello perché non tutti i centri dove si tratta il cancro della prostata hanno a disposizione queste metodiche che sono molto costose e “time consuming”, cioè richiedono risorse in termini di tempo e di professionalità da formare che hanno certamente un impatto oneroso sulla sanità pubblica e convenzionata. Però queste possibilità esistono e sono fruibili. Basta in questi casi avere la buona volontà di anteporre l’interesse del paziente ad altre considerazioni più o meno etiche per affrontare positivamente il problema. I pazienti vanno volentieri anche in strutture meno vicine, pur di essere messi nelle condizioni di avere una diagnosi più circostanziata e di poter compiere, grazie ad una precisa definizione della neoplasia di cui sono portatori, la scelta davvero adeguata fra le varie possibilità terapeutiche oggi a disposizione. Qualora si riscontrino, grazie a tutte queste opportunità diagnostiche, le condizioni viste più sopra per proporre una soluzione di intervento non radicale come la terapia focale, il paziente dovrebbe essere messo davanti alla possibilità di scegliere esponendo vantaggi svantaggi e limiti delle diverse opzioni percorribili per attuare una terapia focale.

I vantaggi li abbiamo già enunciati, riassumibili nell’evitare un intervento cruento con tutti i rischi connessi per quanto riguarda la potenza sessuale, la continenza urinaria, la possibile necessità di emotrasfusioni e la non completa radicalità oncologica oltre che avvalersi di un ricovero ospedaliero brevissimo e indolore.

Gli svantaggi consistono fondamentalmente nel doversi magari spostare per affidarsi ad un centro diverso dove sia praticata la terapia focale e nella diversa tipologia di opzioni di terapia focale oggi offerte, che presumono una conoscenza delle stesse almeno da parte dell’urologo. Al paziente oggi può risultare infatti molto difficile orientarsi fra le varie proposte pur incontrabili sul web.

Infine, vanno tenuti presenti ed esposti al paziente i limiti di questa terapia focale, che sono rappresentati dalla possibilità che la terapia attuata non risulti completa dopo il primo trattamento o che nel tempo possano comparire nella prostata dello stesso soggetto focolai tumorali diversi da quelli trattati, per il semplice motivo che il tumore prostatico è una malattia per sua natura multifocale e non necessariamente i vari focolai tumorali nascono e si sviluppano in modo sincrono. Tuttavia, anche qui va tenuto presente che il riscontro di un nuovo focolaio, che dovesse insorgere negli anni dopo un trattamento focale completo, potrebbe a sua volta non avere la necessità di essere trattato ma solo sorvegliato e, nel caso lo fosse, sarebbe sempre possibile un ritrattamento ripetuto anche più volte. Il concetto fondamentale che deve passare è che oggi possiamo “controllare” il tumore prostatico senza necessariamente “eradicarlo”.

La relativa novità di questa tipologia di trattamenti focali impedisce di avere a disposizione i risultati di studi clinici controllati, con una numerosità statistica sufficiente e per un numero di anni sufficienti a valutare l’impatto sulla sopravvivenza specifica per cancro dei soggetti trattati. E’ questo il motivo per cui qualsiasi metodica che esuli dalle terapie radicali e dalla sorveglianza attiva non può trovar posto nelle linee guida internazionali che a questi studi controllati fanno riferimento. Pertanto il trattamento focale del cancro della prostata va considerato per almeno i prossimi 10 anni a venire un trattamento investigazionale e come tale deve essere proposto. Va detto a tale proposito un particolare di non trascurabile importanza al momento di dover fare una scelta bene informata: tutte le metodiche con cui è realizzabile oggi la terapia focale del carcinoma prostatico non impediscono di essere seguite nel tempo, se necessario, dall’attuazione delle terapie radicali tradizionali.

Non si perde nulla quindi se si fa la scelta di una terapia focale, rimanendo integre le possibilità di una eventuale terapia radicale, mentre si evitano errori iniziali di valutazione nell’assegnare ad una “sorveglianza attiva” pazienti che in realtà necessitano fin dall’inizio di una qualche forma di terapia attiva. Inoltre, si evitano stati d’ansia fra coloro che hanno indicazione ad intraprendere una terapia di sorveglianza attiva, cosa che, pur senza riscontro di progressione di malattia, induce il 20% circa dei pazienti “sorvegliati” a chiedere di passare alla chirurgia radicale. Con buona ragione pertanto il trattamento focale del carcinoma prostatico può essere considerato una “terapia ponte” fra sorveglianza attiva e chirurgia o radioterapia radicale.

Rimane a questo punto un ultimo punto da prendere in considerazione ed è il o i tipi di trattamento focale, fra quelli oggi disponibili, che abbiano dimostrato le migliori performances. Ad oggi le metodiche con cui viene attuare la terapia focale del cancro della prostata sono le seguenti:

– la crioterapia (terapia con azoto liquido, con la quale si porta l’area di prostata sede del tumore a -170 gradi centigradi);

  •  – la brachiterapia (radioterapia attuata mediante infissione di aghi radioattivi nell’area tumorale),
  • la terapia fotodinamica (FTV);
  • – la termoablazione a radiofrequenza;
  • – l’elettroporazione irreversibile (IRE);
  •  – l’ablazione focale con laser (FLA).

Infine, una menzione a parte merita la termoablazione focale con HIFU realizzata con un’apparecchiatura moderna, di estremo interesse denominata “FOCAL ONE”.

E’ verso questa metodica che guardiamo con estremo interesse, sulla scorta di un’esperienza personale di 15 anni di trattamenti con HIFU sull’intera ghiandola nel carcinoma prostatico in alternativa alla radioterapia. Si tratta del primo apparecchio studiato espressamente per la terapia focale del tumore della prostata ed è stato presentato per la prima volta al Congresso della Società Europea di Urologia nel 2013.

Sono 3 i pilastri su cui poggia l’unicità di questo strumento:

  1.  la possibilità di determinare con precisione l’area da trattare mediante la fusione di immagini fra RMN multiparametrica (vedi articolo sull’argomento) ed ecografo 3D incorporato nella macchina e che permette di seguire in tempo reale tutto il procedimento;
  2.  il trattamento avviene attraverso una sonda endorettale robotizzata che emette ultrasuoni ad alta intensità (HIFU) focalizzati esclusivamente sull’area predeterminata con la fusione di immagini di cui sopra;
  3. a trattamento completato sono ottenibili immagini ecografiche dopo l’iniezione di mezzo di contrasto ecografico, che permettono di stabilire la completezza o meno della distruzione per necrosi coagulativa del tessuto tumorale. In caso di dubbio in proposito è possibile ripetere immediatamente una nuova termoablazione conclusiva prima di rimandare il paziente nel suo letto. Il trattamento ablativo viene eseguito in genere con il paziente in anestesia spinale. E’ assolutamente indolore anche nel post-operatorio. Durata della degenza: 24-48 ore.

Una RMN multiparametrica eseguita 1-2 mesi dopo il trattamento potrà confermare se il paziente può considerarsi libero da tumore.

In conclusione:

  •  il razionale per il ricorso alla terapia focale nel carcinoma prostatico è solido e condiviso da molte Istituzioni Internazionali;
  • i risultati preliminari ottenuti dischiudono scenari molto interessanti nel trattamento del tumore prostatico allorchè la malattia è mono – bifocale con aggressività di tipo intermedio;
  • se vista come una tappa nell’ambito di una terapia multimodale del carcinoma prostatico, tenendo presente l’estrema eterogeneità biologica di questa malattia, la terapia focale può divenire senz’altro  più  accettabile;
  • anche se non è ancora possibile ritenere la terapia focale come un’acquisizione assodata nell’armamentario terapeutico dell’urologo, non si può neppure continuare a parlarne come di un’attraente illusione. Ci si può cominciare a credere!

Noi ci crediamo e per questo stiamo avviando i primi trattamenti con Focal One nell’Ospedale Multimedica – Santa Maria di Castellanza (Varese): una novità assoluta, una prospettiva del tutto nuova ma concreta per coloro che, portatori di un carcinoma prostatico ancora iniziale, potranno guardare più serenamente al loro futuro.

Dott. Giancarlo Comeri

Dott. Giancarlo Comeri

Condividi su