Il carcinoma prostatico, nei paesi occidentali, è il secondo tumore maligno nel sesso maschile, dopo quello polmonare, e la sua incidenza aumenta con il progredire dell’età e il suo apice risulta essere intorno ai 70 anni.
Nel corso dell’ultimo decennio la diagnosi di carcinoma prostatico sono divenute più frequenti anche tra pazienti giovani e sessualmente attivi. Fortunatamente la prevenzione, le tecniche di screening sempre più accurate, che consentono una diagnosi più precoce, insieme alle corrette procedure riabilitative consentono al paziente operato una ripresa soddisfacente dell’attività sessuale.
Tra le varie opzioni terapeutiche, la prostatectomia radicale rappresenta a tutt’oggi, la terapia d’elezione.
L’intervento di prostatectomia radicale e le reazioni psicologiche
L’intervento di prostatectomia radicale, nonostante le più accorte forme di salvaguardia chirurgica, è un intervento demolitivo che porta l’uomo a ritrovarsi in una condizione di incontinenza urinaria, più o meno importante, e di impotenza sessuale.
Da un punto di vista psicologico catapulta il paziente e la/il partner in un contesto di relazione completamente diverso. Un uomo con il pannolone, anche se temporaneamente, è in una condizione di estrema fragilità emotiva. Non si riconosce più, si sente inadeguato, meno attraente per la/il partner e questo lo porta ad allontanarsi sempre di più dall’intimità di coppia.
Di fronte alla malattia tumorale le reazioni psicologiche sono le più diverse. Al momento della diagnosi, superato lo shock iniziale, ogni uomo ha una reazione del tutto individuale, con una visione della vita e della malattia, e questo inevitabilmente coinvolge la sua vita di relazione.
Prostatectomia radicale: disfunzioni post intervento e riabilitazione
L’incidenza della disfunzione erettile (DE) post-prostatectomia è molto variabile (20-80%). La motivazione di questa variabilità è legata alla tecnica di intervento effettuato (ad esempio la “nerve Sparing”), all’età del paziente, alla condizione del pavimento pelvico pre-operatorio (a tal proposito si consiglia sempre di effettuare delle sedute di riabilitazione prima dell’intervento), alla presenza o meno di DE prima dell’intervento, alla precoce terapia riabilitativa.
Il protocollo riabilitativo deve essere personalizzato e costruito insieme con il fisioterapista specializzato, l’urologo chirurgo e con l’andrologo. Normalmente, la riabilitazione va iniziata dopo la rimozione del catetere vescicale e ci si può avvalere dell’utilizzo dei farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5 (sildenafil, tadalafil, vardenafil, avanafil) oppure della terapia intracavernosa con PGE1, a questo va associata la riabilitazione del pavimento pelvico e l’utilizzo del Vacuum device.
In questa situazione la/il partner viene spogliata/o delle vesti di amante e spinta/o verso un ruolo più materno. Può essere, ad esempio, la “madre” confortante, che attende i tempi e supporta, oppure può essere la “madre” rimproverante che ricorda in modo eccessivo al compagno la sua fragilità, che non può continuare a perdere urina e che le rende la vita impossibile.
Diventa fondamentale parlare con la coppia per attuare un percorso di recupero insieme, un percorso atto a ritrovare la funzionalità fisica, l’armonia e la complicità nella relazione.
E’ importante spiegare alla/al partner che anche lei/lui deve entrare a pieno titolo nel percorso di recupero del proprio compagno.
Per un recupero ottimale non possiamo pensare solo al trattamento del sintomo. Come riabilitatori dobbiamo pensare alla persona nella sua interezza e alla sua qualità della vita.
Dott.ssa Stefania Napoli – osteopatia e fisioterapia Roma e Viterbo
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