Le emorroidi sono dei cuscinetti venosi situati nella parte terminale del retto, con il compito di garantire la continenza fecale, gonfiandosi e sgonfiandosi in base al momento. E’ dunque in realtà improprio dire che “si soffre di emorroidi”, anche se l’espressione fa ormai parte del linguaggio comune.
In realtà si vuole indicare che, a causa di stipsi, diarrea cronica, sforzi eccessivi, gravidanza, la mucosa rettale tende a cedere e a spingere verso l’esterno le emorroidi interne, che a loro volta premono su quelle esterne, causando i tipici sintomi di dolore, bruciore e prurito.
Si tratta della più comune patologia anale e si stima che almeno una volta nella vita ne soffrano 9 persone su 10! Quando non si tratta di un problema occasionale, legato magari al tipo di alimentazione scorretta o a sforzi psico-fisici, le emorroidi si risolvono chirurgicamente. Nello specifico ci occupiamo della tecnica THD (Transanal Haemorroidal Dearterialization), un metodo di trattamento efficace e mininvasivo per la cura delle emorroidi interne (o prolasso mucoemorroidario) di 2° e 3° grado, quindi giunte a uno stadio medio-alto di gravità.
Essa si differenzia dall’intervento chirurgico tradizionale di riferimento (l’emorroidectomia secondo Milligan-Morgan), perché il tessuto emorroidario non viene asportato (con i possibili rischi che ne conseguono, primo fra tutti il restringimento del canale anale che rende l’evacuazione difficoltosa e dolorosa).
Con la THD, mediante una strumentazione dedicata con sonda doppler introdotta attraverso l’ano, si esegue la ricerca dei rami dell’arteria emorroidaria superiore che riforniscono le emorroidi e si legano, nel vero senso della parola, le arterie emorroidarie così da interrompere il flusso ematico. Infine, si pratica la proctopessia cioè un vero e proprio “lifting” del tessuto mucoemorroidario che prolassa verso l’esterno dell’ano.
L’intervento si esegue in genere in sedazione profonda e anestesia locale, raramente in anestesia spinale, per evitare interferenze con l’apparato urinario (ritenzione urinaria). Questo approccio anestesiologico permette al paziente di essere dimesso poche ore dopo il termine della procedura. Mediamente, in accordo con la letteratura internazionale, l’intensità e la durata del dolore accusato dal paziente sono minori rispetto alla tecnica tradizionale e paragonabili al più noto intervento di Longo eseguito con impiego di suturatrice meccanica transanale.
La ripresa delle normali attività è più rapida, le complicanze sono contenute (24%) e comunque mai gravi, come invece potrebbe avvenire con la tecnica di Longo, che va riservata ai prolassi mucoemorroidari circonferenziali di 3-4° grado, quando cioè si interviene a un livello più avanzato di malattia e può avere senso accettare il rischio di complicanze più serie), e con la già citata Milligan-Morgan.
Con la THD non possono verificarsi involontarie lesioni del canale anale e non è necessario applicare più volte al giorno trattamenti topici (pomate, schiume, unguenti ecc.). Inoltre, il pericolo di recidiva a 3 anni si attesta al 14%.