Vaccinazione anti covid-19 e dosaggio degli anticorpi: quanto è utile

Guariti e vaccinati contro il covid-19 si chiedono all’unanimità:

  • ho abbastanza anticorpi?
  • Quanto sono protetto dal Covid?

Ormai da diverso tempo c’è la corsa, da parte di vaccinati o guariti, al test per scoprire se c’è una risposta immunitaria.

Ma è davvero utile sottoporsi al test?

Secondo quanto riportato dalla rivista Wired gli esperti hanno una visione/opinione univoca: è un test inutile.

Infatti  “non offre garanzie sull’efficacia della vaccinazione.

È lo stesso parere espresso, in America,dall’Fda, che sconsiglia alla popolazione il ricorso al dosaggio degli anticorpi, sulla scorta di una mancanza di dati certi con cui interpretare un eventuale risultato positivo o negativo.”

L’interessante articolo di Wired, che riportiamo fedelmente, continua:

“ È noto che una piccola percentuale dei vaccinati, a prescindere dal vaccino che si riceve, non svilupperà l’immunità sperata verso la malattia.

Ma non è detto che un livello di anticorpi inferiore all’atteso identifichi i pazienti a rischio:

l’immunità a Sars-Cov-2 non sembra legata unicamente alla presenza di elevati livelli di anticorpi, e non tutti i test sierologici disponibili sul mercato sono ugualmente efficaci nell’identificare gli anticorpi prodotti in risposta al vaccino.

Anche sul piano della ricerca di base, sono ancora poche le certezze riguardo agli indicatori che possono aiutare a prevedere il livello di immunizzazione nei confronti di Covid-19 fornito da un vaccino (o da una precedente infezione) a un singolo paziente.

Le diverse strade per l’immunità

 I livelli di anticorpi presenti nel sangue sono chiaramente uno dei candidati principali per questo ruolo, ma non sempre si rivelano efficaci, perché l’immunità nei confronti di un patogeno può prendere diverse strade.

La cosiddetta immunità adattativa, quella che sviluppiamo in seguito al contatto con un virus o un patogeno, è composta di due elementi principali: l’immunità umorale, collegata all’attività degli anticorpi, e quella cellulare, in cui sono i linfociti T a fare la parte del leone.

Nel primo caso, i virus circolanti nell’organismo sono individuati dagli anticorpi e poi neutralizzati.

Nel secondo, quello dell’immunità cellulare, il processo avviene all’interno delle cellule infette, attraverso l’espressione dell’antigene virale sulla loro membrana e l’attivazione dei linfociti T, globuli bianchi che si legano all’antigene e distruggono la cellula, per spezzare il ciclo di replicazione del virus, ma che possono anche svolgere altre funzioni, attivando per esempio i linfociti B per stimolare la produzione di anticorpi in seguito all’incontro con il patogeno.”

Immunità umorale o immunità cellulare?

Nell’articolo si legge ancora che “entrambi questi meccanismi, l’immunità umorale, come su scritto,  collegata all’attività degli anticorpi, e quella cellulare, in cui sono i linfociti T a fare la parte del leone, entrano in azione per contrastare le infezioni.

Ma quale risulterà più importante dipende da molti fattori, non ultimo il comportamento del virus stesso.

Nel caso di Sars-Cov-2 non è ancora chiaro quale sia più importante per garantire l’immunità.

Alcune ricerche sembrano indicare che il livello di anticorpi neutralizzanti sia un ottimo proxy del livello di protezione sviluppato da un paziente.

Altre puntano in direzione di un ruolo importante dei linfociti T, sia per eliminare le cellule infette, sia come mediatori che stimolano la produzione di nuovi anticorpi dopo aver individuato il virus.

complicare ulteriormente la situazione, poi, c’è il fatto che impedire l’infezione non è l’unico obiettivo della vaccinazione: se una persona può contrarre il virus ma non svilupperà mai forme gravi della malattia (perché il sistema immunitario è pronto a entrare in azione velocemente per tenere sotto controllo la situazione), sul piano dei rischi individuali ci si può probabilmente dichiarare soddisfatti.

E potrebbe essere proprio questo quello che avviene nelle persone vaccinate che presentano bassi livelli di anticorpi circolanti, nel caso in cui ci siano reservoir di linfociti B pronti ad entrare in azione al prossimo incontro con il virus.”

Test dosaggio degli anticorpi: l’opinione di un’esperta italiana

La Professoressa Luigina Romani, immunologa e microbiologa, ordinario di Patologia generale all’università di Perugia, rispondendo ad una interessante intervista del quotidiano l’Avvenire, afferma che:

 “le armi per capire se abbiamo gli anticorpi contro il Covid esistono, ma alcune le sappiamo usare bene, altre no.

Mi spiego: l’incontro con qualunque patogeno, virus o batterio che sia, genera sempre una risposta immunitaria fatta di molecole solubili, gli anticorpi.

Quelli detti neutralizzanti riconoscono la causa dell’infezione e la fermano come una diga, e sono facili da misurare, basta un prelievo di sangue.

Però c’è un’altra risposta molto più importante che non viene dagli anticorpi ma dalle cellule bianche del sangue, i famosi linfociti T ( T perché prodotti dal timo), gli unici a garantire una protezione di lunga durata.

Timo: è una ghiandola del sistema immunitario  con funzione endocrina.

E’ parte integrante di tre sistemi: il sistema linfatico, il sistema immunitario e il sistema endocrino.

Si occupa della maturazione dei timociti in linfociti T , ovvero cellule del sistema immunitario che contribuiscono alla cosiddetta immunità cellulo-mediata.

timo

I linfociti T sono responsabili di due effetti fondamentali: non solo inducono alla produzione degli anticorpi, ma tengono una memoria immunologica, sono quindi alla base della nostra resistenza all’infezione dopo che ci siamo ammalati la prima volta.

Ecco perché è più importante sapere se abbiamo i linfociti T.”

I test attualmente in commercio misurano i linfociti T?

“No, perchè ci dicono solo quanti anticorpi abbiamo in circolazione, basta da un minuto a qualche ora al massimo.

Anche i linfociti T si prelevano dal sangue, ma per interrogarli e sapere se sono pienamente attivati bisogna isolare queste cellule bianche, coltivarle in vitro, stimolarle con il virus e vedere la loro reazione all’infezione.

È una procedura che richiede giorni, e finora non abbiamo kit diagnostici che permettano di agire a livello di massa, lo si può fare in laboratorio e per singoli casi rari.

Eppure solo questo dato ci saprebbe prevedere che esito avrebbe in noi il contagio, se lieve o grave: studi pubblicati sulle principali testate scientifiche dimostrano che la suscettibilità al virus e l’esito dell’infezione sono strettamente legati proprio alle cellule della memoria immunitaria.

Pare infatti che i linfociti T che rispondono meglio nella lotta al Sars-CoV2 siano quelli abituati a farlo perché in passato avevano già incontrato altri coronavirus.”

I sierologici danno risultati disparati: come mai?

“Il caos avviene perché ogni laboratorio ha una sua unità di misura, i risultati non sono confrontabili quindi sono poco utili.

Inoltre un semplice test che misura quante immunoglobuline abbiamo nel sangue, ovvero la quantità di tutti gli anticorpi senza distinguere quelli veramente neutralizzanti, che senso ha?

Nel nostro ospedale di Perugia un infermiere che aveva un altissimo titolo anticorpale si è ugualmente infettato, perché gli anticorpi neutralizzanti da lui sviluppati erano pochi.

Puoi avere un numero alto di anticorpi ed essere poco protetto, e averne pochi ma ottimi ed essere al sicuro. Servirebbe un kit che rilevi solo gli anticorpi neutralizzanti e i linfociti T…”

La vaccinazione resta comunque necessaria?


“Assolutamente sì.

Basta vedere i risultati odierni in Italia anche con una sola dose: nonostante le riaperture di tutte le attività i contagi non sono dilagati.

E in Israele anche i non vaccinati non si infettano più, grazie al gran numero di persone protette.”

Vaccinare i giovani serve anche a prevenire nuove varianti?

“In realtà le varianti emergono nei soggetti il cui sistema immunitario non funziona bene, quindi certamente non tra i giovani.

Piuttosto direi che, visto il contesto tragico dal quale usciamo, immunizzare i ragazzi ci mette tutti più al sicuro.”


Conclusioni


“Non mi farei impressionare dai numeri.

Consiglio due regole empiriche: i vaccini stanno funzionando, invece di misurare le presunte difese vacciniamoci il più possibile.

Inoltre affidiamoci al buon senso, modifichiamo serenamente le nostre idee a seconda di ciò che osserviamo.

 Lo abbiamo appena visto con Pfizer, che ora risulta addirittura più efficace se la seconda dose si riceve tre mesi dopo la prima.”

Lavinia Giganti – Redazione

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