Spesso lo si sottovaluta, ma il mal di testa, oltre a essere una patologia disabilitante nelle forme croniche, può essere la spia o il campanello d’allarme di problemi cardiologici anche seri. E’ infatti scientificamente provato il legame tra la cefalea e/o l’emicrania, un attacco ischemico cerebrale e/o ictus e l’esistenza di anomalie congenite del cuore. Inoltre, chi soffre di emicrania cronica, specialmente se con aura, cioè associata a tutta una serie di sintomi neurologici che precedono l’attacco, può avere maggiori probabilità di sviluppare un infarto o un ictus. L’emicrania con aura, caratterizzata da un dolore piuttosto acuto, pulsante e ricorrente, può originare da lesioni capaci di causare piccole ischemie e gli emicranici hanno una maggiore prevalenza di fattori di rischio per le malattie cardiovascolari: ipertensione, diabete e colesterolo alto.
Il Forame Ovale Pervio (PFO), ad esempio, ha una funzione essenziale per il feto, garantendo il flusso di sangue tra i due atri del cuore quando l’attività respiratoria non è ancora autonoma, ma dopo la nascita e, di solito entro il primo anno di vita, esso viene chiuso da una membrana, in quanto non più funzionale. Nel 30-40 % della popolazione però tale processo non avviene e, anche se la pervietà del forame ovale non è di per sé un problema, questa anomalia può a volte concorrere ad aumentare il rischio di ictus, soprattutto se è associato alla trombofilia o, ad esempio, nei soggetti che fanno immersioni subacquee.
L’esistenza del forame ovale pervio è conosciuta praticamente da sempre, la forte relazione con emicrania e/o ictus invece è stata supportata da studi scientifici a partire dagli anni ’90. In pratica può succedere che in presenza di situazioni stressanti e/o di attività fisica particolarmente intensa, di stazione eretta prolungata o di posizione bloccata per un periodo prolungato (ad esempio per un lungo volo aereo) si creino condizioni favorevoli per la formazione di grumi di sangue (emboli) nel sistema venoso (o le bolle d’aria che si formano durante la decompressione dopo le immersioni), che possono attraversare il forame ovale senza essere filtrati dal circolo polmonare. Questi emboli, venendosi così a trovare all’interno del sistema arterioso, possono causare in particolare ictus cerebrali o malori apparentemente inspiegabili. Spesso questi malori sono preceduti proprio da attacchi di emicrania con aura. Allo stesso modo, chi soffre di emicrania con aura presenta un forame ovale pervio con una frequenza di circa il 48%, più del doppio rispetto alla popolazione generale (circa il 20%).
Per questo, quando abbiamo di fronte un paziente colpito da un ictus e/o emicrania dobbiamo sempre pensare al PFO, a maggior ragione se è giovane. Bisogna valutare se il PFO ha avuto un ruolo nella genesi della patologia, se esiste una concomitante predisposizione alla formazione di trombi, se non esistano altre patologie neurologiche. Nei soggetti affetti da emicrania e comunicazione tra i due atri (PFO), l’eliminazione definitiva del difetto (oggi possibile con una puntura dell’inguine della vena femorale in anestesia locale evitando così l’intervento chirurgico) ha mostrato una scomparsa della cefalea in circa il 60% dei soggetti ed un sensibile miglioramento nel restante 40%. Anche in caso di ictus cerebri o TIA (attacchi ischemici cerebrali) e in caso sussista l’indicazione, si deve intervenire per chiudere il PFO con le medesime protesi artificiali utilizzate per curare i pazienti con emicrania e PFO.
Il trattamento e la cura di questi pazienti comunque, principalmente mirato alla prevenzione secondaria, per evitare che l’ictus si ripeta o per cercare di curare la cefalea, deve sempre essere il risultato di un approccio multidisciplinare cui concorrono diversi specialisti. È infatti necessaria una visione d’insieme, che tenga conto di più fattori.
In conclusione, a fronte di una cefalea persistente o di attacchi ischemici cerebrali recidivanti, è consigliabile sottoporsi anche a un accurato check up cardiologico per escludere la presenza di anomalie congenite e poter quindi a quel punto concentrarsi su una adeguata terapia di profilassi.