Otoplastica, non solo orecchie a ventola

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Nonostante la chirurgia plastica del padiglione auricolare sia composta di quattro capitoli fondamentali (malformazioni congenite, traumi,  tumori ed estetica dell’orecchio esterno), nell’immaginario collettivo l’otoplastica viene associata sempre e solo alla correzione delle orecchie a ventola (valghe), comunemente, ma erroneamente chiamate “a sventola”.

Gli altri 4 inestetismi oggetto di otoplastica

Oltre alle orecchie a ventola, vi sono infatti altri quattro inestetismi abbastanza frequenti risolvibili con un intervento di otoplastica, eseguibile con tantissime tecniche differenti: il  lobo bifido (schisi del lobo), il cheloide dell’orecchio, l’orecchio grande (macrotia) e il lobo ipertrofico (macrolobo).

A volte questi inestetismi si presentano contemporaneamente nello stesso orecchio, come ad esempio le orecchie a ventola associate a macrolobo o a macrotia. In questi casi, nell’ambito dello stesso intervento si trattano entrambe le problematiche.

Le orecchie a ventola

Un orecchio si considera normale quando la sua distanza dal cranio non superi i 2 centimetri. Se la  distanza è maggiore si è in presenza di orecchie a ventola, caratteristica che esula dai nostri canoni estetici tradizionali, ma che ad esempio nella cultura orientale è auspicio di intelligenza per un bambino, in quanto l’apertura ampia consentirebbe di percepire meglio ciò che accade intorno a sé.

Qui purtroppo le orecchie a ventola sono spesso oggetto di scherno, motivo per cui nella stragrande maggioranza dei casi i genitori optano per una otoplastica. Tutte le tecniche esistenti hanno un minimo comune denominatore: ridurre la distanza tra le orecchie ed il cranio. Personalmente, utilizzo tecniche che modificano la forma della cartilagine senza usare dei punti di sutura intra-auricolari, al fine di non lasciare corpi estranei potenzialmente pericolosi nel tempo e con risultati molto naturali, privi di asperità.

Il macrolobo

Il lobo auricolare normalmente rappresenta circa 1/3 dell’orecchio. Quando queste dimensioni sono superate e la loro posizione diverge si parla di macrolobo. Il macrolobo viene di norma ridotto di dimensioni con correzione della posizione conservando la rotondità e con cicatrici invisibili.

Il lobo bifido

 L’uso di orecchini pesanti conduce progressivamente all’ingrandimento del buco e nei casi più gravi si può arrivare alla rottura, con schisi (divisione) del lobo. A volte, il lobo bifido può essere doppio, cioè  anteriore e posteriore. Con l’otoplastica si provvede alla riparazione di tutto il lobo restituendogli compattezza e rotondità.

Il cheloide

La predisposizione genetica, l’uso di orecchini con leghe allergizzanti e microtraumi associati a microinfezioni ripetute possono condurre alla formazioni di cheloidi, esiti cicatriziali anomali in cui la cicatrice supera abbondantemente le dimensioni della ferita iniziale. La terapia dei cheloidi è complessa e lunga perché composta da più di una terapia da associare alla otoplastica nei tempi giusti.

La macrotia

Il padiglione auricolare è considerato normale quando le sue dimensioni verticali sono comprese tra i 5,5 e i 6,5 centimetri. Le orecchie che hanno dimensioni minori dei 5,5 cm sono considerate piccole (microtia), mentre i padiglioni che superano i 6,5 cm sono considerati grandi (macrotia). Alla microtia è stato dedicato un precedente articolo. In caso di macrotia, con l’otoplastica è possibile ridurre le dimensioni senza cicatrici visibili.

Conclusioni

I dismorfismi del padiglione auricolare sono talmente numerosi che ancora oggi non esiste una classificazione che li contempli tutti, di conseguenza anche la chirurgia del padiglione auricolare risulta varia e complessa, fatta soprattutto di dettagli infinitesimali in grado di fare la differenza tra un lavoro ben fatto ed un risultato eccellente.

Dott. Donatello Di Mascio

 

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