Gomito del tennista: cosa fare

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Il gomito del tennista, o meglio l’epicondilite, è una sofferenza della inserzione tendinea degli estensori della mano a livello dell’epicondilo (una sporgenza ossea) del gomito. A dispetto del nome con cui è comunemente noto, è un disturbo che non colpisce solo i tennisti, ma anche, ad esempio, schermidori e lanciatori, oltre che alcune categorie professionali (carpentieri, muratori, operai che usano il martello pneumatico) e in generale tutti coloro che fanno movimenti ripetitivi con avambraccio, mani e dita.

Cos’è in concreto?

Uno dei motivi per cui l’epicondilite si cronicizza è la scarsa vascolarizzazione di questa regione e di conseguenza l’insufficiente ossigenazione che rallenta il processo di guarigione. L’epicondilite, o gomito del tennista, può essere considerata una infiammazione soltanto nelle primissime fasi, quando avviene la lesione iniziale. Per il resto, è più corretto definirla una tendinopatia, ossia una sofferenza del tendine. Ci sono varie opinioni sui tempi di guarigione da questa problematica, la verità è che la guarigione può essere rapida soltanto se la terapia interviene precocemente (entro tre settimane) perché un tendine non è equiparabile ad un muscolo, alla pelle o all’osso.

Nel tendine, infatti, c’è uno scarsissimo apporto sanguigno e i tempi, se è già intervenuto un danno tendineo, sono lunghi, per di più poco prevedibili. In questi casi si parla di tendinosi, ossia una condizione di tipo degenerativo che richiede un approccio totalmente differente. La terapia di una epicondilite “acuta” risponde bene al riposo, alla terapia antinfiammatoria generale e locale ed al ghiaccio applicato 15-20 minuti 4 volte al giorno.

La terapia della epicondilite cronicizzata è invece mirata a mobilizzare i tessuti, ristabilire la microcircolazione locale, evitare una cicatrizzazione ipertrofica/ipovascolare e stimolare la guarigione. Perseverare con il riposo assoluto, l’immobilizzazione, il ghiaccio, creme varie può dunque portare solo ad una maggiore stagnazione e cronicizzazione.

Le chiavi della terapia

  • il massaggio trasverso profondo e la mobilizzazione del tendine (con il fisioterapista e in auto massaggio); lo stretching, blando nella prima fase, progressivamente più intenso;
  • esercizi di allungamento, non nella fase acuta iniziale, che consolidano la guarigione e minimizzano le recidive; terapie fisiche mirate a potenziare la vascolarizzazione locale (ipertermia ed onde d’urto);
  • uso di fasce specifiche per epicondilite, che consentono il movimento e proteggono il tendine.

Una notazione particolare merita lo stretching, quale componente essenziale della terapia dell’epicondilite giunta allo stadio cronico. Esso, infatti, agisce migliorando l’apporto sanguigno locale e permettendo l’ossigenazione dei tessuti infiammati. Va ripetuto più volte al giorno e proseguito anche per 20-30 giorni dopo la guarigione completa. Il paziente non deve sentire dolore acuto, ma una sensazione di tensione, anche fastidiosa, durante gli esercizi di stretching.

L’alternativa ozonoterapia

Un’alternativa, ma anche una terapia associata, per la cura dell’epicondilite è la miscela di Ossigeno-Ozono, utilizzata con successo nelle forme iniziali e intermedie sfruttando l’azione antinfiammatoria. La somministrazione avviene mediante infiltrazioni locali nella regione dolente, servendosi di aghi molto sottili. Un ciclo efficace necessita di una decina di infiltrazioni nell’arco di circa cinque settimane (due  a settimana). L’Ozonoterapia ha il vantaggio unico di preservare le strutture tendinee e di non lasciare residui, come accade invece per le somministrazioni locali di alcune formulazioni cortisoniche. Infine, il gomito del tennista è trattabile anche con un ciclo di mesoterapia o di agopuntura-auricoloterapia.

Dott. Bruno Fernando Libassi

 

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