Il rettocele è una patologia tipicamente femminile rappresentata dal cedimento della parete anteriore del retto in vagina. Nello specifico, la membrana che separa il retto dalla vagina,
chiamata setto retto-vaginale, si sfonda con conseguente formazione di una sacca estroflessa. A seconda del grado, le conseguenze sono molto fastidiose fino ad arrivare ad essere insostenibili. Ma andiamo con ordine.
Cosa provoca un rettocele?
Il rettocele colpisce perlopiù donne over 40, un’età in cui vi è un progressivo, fisiologico rilassamento dei tessuti, quindi anche della parete rettale. Se a ciò
aggiungiamo una o più gravidanze, il rischio aumenta considerevolmente perché ogni parto indebolisce la membrana tra retto e vagina. Inoltre, parti difficili possono
comportare traumi al pavimento pelvico. Anche l’obesità/sovrappeso e/o lo stare molto in piedi contribuiscono a un possibile rettocele perché il peso eccessivo comporta
un affaticamento dei muscoli del pavimento pelvico, così come trascorrere molte ore in posizione eretta. Allo stesso modo, una eventuale isterectomia, cioè asportazione dell’utero, aumenta il rischio di rettocele, perché l’utero ha anche una funzione di organo sospensore del pavimento pelvico. Nei casi in cui il rettocele si manifesti in giovani donne che non hanno partorito, la causa più probabile è da ricercare in disordini della defecazione (ad esempio uno scorretto rilasciamento del muscolo sfintere nella fase espulsiva della defecazione).
Quali sono le conseguenze di un rettocele?
La conseguenza più seria per chi soffre di rettocele è la stitichezza meccanica/pelvica, ma non quella, magari occasionale, che conosciamo tutti. In questo caso si parla infatti di Sindrome da Defecazione Ostruita (ODS è l’acronimo inglese), che non trova rimedio con un’alimentazione ricca di fibre e di acqua. Questo succede perché le feci si incastrano nella sacca estroflessa e non riescono a fuoriuscire. Anche quando, con fatica, si riuscirà a defecare, grazie a potenti lassativi, clisteri o supposte, permarrà sempre una sensazione di pesantezza per il permanere di feci nella sacca. Inoltre, questa sacca spinge contro vagina e vescica, facendo infiammare l’uretra: l’effetto domino sarà lo stimolo minzionale frequente. Il rettocele può accompagnarsi
a cistocele, un’ernia vaginale provocata dal prolasso della vescica. Oltre al numero di gravidanze e al peso eccessivo, in questo caso possono incidere l’abitudine a lavori
pesanti e l’essere in menopausa. Un altro disturbo causato dal rettocele è il dolore durante
il rapporto sessuale (dispareunia), dovuto alla debolezza della parte posteriore della vagina e alla eventuale presenza dell’ernia.
Come si diagnostica il rettocele?
Il primo passo per diagnosticare la presenza di un rettocele è la visita proctologica. Già sulla base dei sintomi riferiti, il medico proctologo sarà in grado di sospettare con fondatezza che si tratti di rettocele. Per confermare la diagnosi, la paziente dovrà sottoporsi alla
classica esplorazione rettale e vaginale da parte dello specialista per verificare il cedimento del setto retto-vaginale e la presenza della sacca. Inoltre,
una defecografia con mezzo di contrasto + manometria ano-rettale consentirà, in caso di rettocele, di valutarne le dimensioni, l’eventuale alterata funzione muscolare ed altre possibili situazioni spesso associate, quale ad esempio il cistocele di cui abbiamo trattato in precedenza (cistografia minzionale ed uroflussimetria).
Cosa prevede il trattamento del rettocele?
Quando il rettocele raggiunge dimensioni pari o superiori ai 3 cm l’unica opzione risolutiva è rappresentata dalla chirurgia. In passato si trattava di un intervento ad appannaggio del chirurgo ginecologo perché la via d’accesso era la vagina. Oggi, si preferisce passare attraverso l’ano per cui le donne si rivolgono al chirurgo proctologo. Questo nuovo approccio consente di intervenire anche su problemi rettali spesso associati alla patologia primaria (prolasso della mucosa del retto, le emorroidi, la invaginazione retto-anale, o l’ulcera del retto). L’operazione prevede un intervento trans-anale non doloroso (S.T.A.R.R.) o un approccio laparoscopico (RETTOPESSI) anche se presente anche una sintomatologia urinaria (POPS). Prima dell’intervento, la paziente dovrà eseguire comuni analisi del sangue e sottoporsi ad un elettrocardiogramma, per valutare la funzionalità di cuore e arterie. Inoltre, verrà sottoposta ad un piccolo clistere, per rendere il campo operativo più nitido, e ad una dose di antibiotici per ridurre il rischio di infezione dovute ai batteri fecali.
Quanto dura l’intervento di rettocele e cosa succede dopo?
L’intervento per eliminare il rettocele dura circa un’ora, seguito da 1-2 giorni di ricovero.
Personalmente, l’intervento trasn-anale nella maggior parte dei casi, lo eseguo in anestesia spinale.
L’approccio laparoscopico ovviamente richiede un’anestesia generale. Dopo l’intervento è possibile avvertire tensione, bruciore e sensazione di pesantezza per circa una settimana. È normale, poi, avere piccole perdite di sangue e muco per qualche giorno.
Sono prescritti lassativi per ammorbidire le feci ed è meglio non compiere sforzi eccessivi per il periodo della cicatrizzazione completa (due o tre settimane).
Per tornare ad avere rapporti sessuali è bene attendere almeno tre settimane. In un numero minoritario di casi, può manifestarsi al massimo per 3-4 settimane l’urgenza alla defecazione: la paziente sente il bisogno di correre in bagno al momento dello stimolo o di andare in bagno più volte al giorno.
La Redazione in collaborazione con il Dr. Mattia Pizzi – Chirurgo generale, Proctologo, Gastroenterologo
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