Il laparocele, l’ernia post-chirurgica

FocusA volte gli interventi di chirurgia addominale possono lasciare uno strascico su cui diventa necessario intervenire successivamente. E’ il caso del laparocele, una particolare ernia che si forma su una cicatrice post-chirurgica, un inconveniente purtroppo possibile quando si opera mediante laparotomia, cioè eseguendo una incisone sull’addome del paziente.

A distanza di tempo, infatti, in circa il 10% dei casi, sulla parete muscolo-fasciale, il sostegno muscolare dell’addome al suo interno, può accadere che si formi un’ernia, dovuta all’età, allo sforzo o al sovrappeso.

Il laparocele si manifesta con un gonfiore che compare in corrispondenza della cicatrice chirurgica ed è proprio una precedente infezione della ferita o la tipologia/estensione dell’incisione praticata a favorire il suo sviluppo (maggiore più è estesa l’incisione), sottoforma di fuoriuscita del peritoneo, quel sottile strato piegato su se stesso che separa gli organi interni dalla parte addominale.

Anche problemi broncopneumologici possono essere causa di laparocele a seguito di tosse persistente che si riflette sui muscoli della pancia inducendo un cedimento a livello della ferita non chiusa perfettamente. Come tutte le ernie, il laparocele tende a ingrandirsi e può andare incontro a strozzamento, portando a dover intervenire d’urgenza.  Può essere anche completamente asintomatico nella quotidianità, ma nel momento in cui si compie uno sforzo fisico o anche solo si cammina o si sta in posizione eretta a lungo, ecco che si manifesta un fastidio o un dolore, che però spesso non allarma subito il soggetto.

Il consiglio è di prendersi il giusto tempo di riposo dopo un intervento chirurgico addominale, limitando lo sport nei primi mesi e seguendo scrupolosamente indicazioni e tempi per mantenere pulita la ferita. A volte sono prescritti esercizi per rinforzare la parte addominale, cosa giustissima, ma senza esagerare e senza fai da te. Un occhio esperto diagnosticherà il laparocele con una semplice visita medica, osservando il gonfiore associato alla cicatrice, ma in casi complessi, o in pazienti obesi,  può essere necessario studiare la parete addominale e il contenuto erniario con la TAC o con la Risonanza Magnetica.

Il trattamento può essere tradizionale o laparoscopico, ma abitualmente comunque in anestesia generale. Per la riparazione del laparocele, che, come abbiamo detto è un ernia che si forma su una preesistente sutura della parete addominale, vengono sempre impiegate delle reti sintetiche, di tipo diverso a seconda debbano stare a contatto con i visceri addominali, come nel caso della riparazione in laparoscopica, o separate da essi perché posti nella parete addominale, come nel caso delle tecniche aperte.

Fino a non molti anni fa la presenza di fistole e infezioni nella regione da operare controindicava l’uso delle protesi, poiché si sarebbero infettate, portando quasi invariabilmente alla necessità di interventi multipli, prima per risolvere l’infezione e solo successivamente riparativi. Oggi abbiamo a disposizioni anche per questi casi materiali protesici utilizzabili.

Nella procedura tradizionale, utilizzata prevalentemente per difetti di grandi dimensioni o di “perdita di domicilio” da parte dei visceri erniari, si utilizza la stessa cicatrice come via di accesso chirurgico, al fine di isolare il sacco peritoneale e la porta del laparocele, oppure una incisione trasversale se si associa l’asportazione della pelle in eccesso realizzando una addominoplastica.

In questo modo, il laparocele viene ridotto e ricollocato all’interno dell’addome, posizionando la rete di materiale sintetico nello spessore della parete. Lo scopo consiste nel rinforzare la parete i cui tessuti avevano ceduto, impiantando un materiale che stimola le cellule a inglobarla formando una neoparete addominale, come in una struttura di cemento armato si pone una rete metallica che verrà poi inglobata dal cemento.

La seconda soluzione prevede la laparoscopia mininvasiva, cioè l’accesso alla cavità peritoneale mediante 3-4 fori, di diametro non superiore ai 10-12 mm attraverso i quali inserire la telecamera e gli strumenti chirurgici, così da osservare dall’interno la zona di cedimento parietale, ridurre dall’interno i visceri in addome, e porre dall’interno una protesi che chiuda il foro di passaggio dell’ernia. In questo caso non viene ricostituita la parete, che è sostituita dalla protesi, che però per rimanere al suo posto e non cedere deve oltrepassare il foro almeno di 3-4 centimetri da ogni lato.

Protesi laparoscopica

Per questa ragione questa opzione, che è molto vantaggiosa, non esponendo agli scollamenti della parete, e quindi a possibili ematomi e complicanze, e che prevede degenze ridottissime rispetto alla tecnica tradizionale o aperta, viene preferita solo in caso di laparocele di piccole o medie  dimensioni.

In generale è sempre opportuno intervenire tempestivamente, poiché la tendenza dei laparoceli è quella di ingrandirsi progressivamente, fino a rendere impossibile l’impiego vantaggioso della laparoscopica o addirittura provocando importanti ripercussioni sulla meccanica respiratoria, anche se in un paziente anziano o compromesso vanno valutati i pro e i contro in base all’età e allo stato di salute generale, utilizzando anche dei sistemi specifici di valutazione del rischio come il CeDAR.

Nel caso infine in cui il difetto della parete sia così grande o che i visceri non possano essere ricondotti senza proibitivi aumenti di pressione all’interno dell’addome, si utilizzano delle tecniche, dette di separazione dei componenti, che fanno scorrere uno sull’altro gli stati che formano la parete addominale, aumentandone di fatto il diametro e permettendone così la chiusura, altrimenti impossibile, sempre posizionando anche una protesi rinforzante.

Prima della rimozione del laparocele
Dopo la rimozione del laparocele

In conclusione è quindi indispensabile fare una scelta personalizzata non solo basata sulle dimensioni del laparocele, ma anche sulla sua sede, sulle caratteristiche del paziente, sulla riducibilità dei visceri, sulle caratteristiche della cute sovrastante, per poter perseguire il risultato di dare una riparazione duratura con il minor rischio di complicanze possibile.

Dott. Marco Azzola Guicciardi

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