I soprusi danneggiano le coronarie

  Una ricerca ha indagato i rapporti tra la giustizia (o equità) sul posto di lavoro e la possibilità di ammalarsi di una patologia coronarica, fatale o meno.

Il lavoro prende il via dal Whitehall II Study, una delle più grandi ricerche prospettiche condotte sui fattori di rischio cardiovascolare.

Lo studio

Lo studio ha arruolato 5726 uomini e 2572 donne, dipendenti pubblici di 20 dipartimenti del Civil Service a Londra.

Le persone sono state seguite nel tempo per valutare cosa accadeva loro dopo averne determinato le condizioni di partenza. Il campione per questa indagine è stato monitorato per oltre 10 anni.

   Oltre alla presenza di eventuali fattori di rischio già conosciuti per la malattia coronarica:

  • obesità,
  • fumo,
  • ipercolesterolemia,

il campione è stato sondato per stabilire diversi aspetti dell’ambiente lavorativo, soprattutto quelli legati ai rapporti gerarchici, al rapporto fra impegno e compensi e, appunto, alla giustizia (equità).

La giustizia (equità) è stata definita in generale come “il ricevere un trattamento equo rispetto agli altri”, o comunque un trattamento ragionevole.

Ai partecipanti allo studio è stato chiesto se fossero d’accordo con la frase “Ho spesso la sensazione di essere trattato in modo ingiusto”.

Erano previste sei risposte, in modo da dividere il campione in 4 gruppi:

  • uno che non giudicava di non essere trattato ingiustamente, e
  • tre che sperimentavano un diverso livello di ingiustizia: basso/moderato/elevato.

I ricercatori, oltre a sorvegliare il manifestarsi delle malattie cardiovascolari, hanno anche valutato, in generale, la qualità della vita rapportata alla salute attraverso un questionario standardizzato (SF36).

I primi dati riguardavano le caratteristiche generali di chi si sente vittima dell’ingiustizia, e concordavano con quanto rilevato anche da altre indagini, per es: i rapporti dei sindacati.

E’ stato rilevato che l’età non fa la differenza, mentre l’essere donna sì, così come l’occupare posizioni inferiori nella scala gerarchica.

Chi riferiva un elevato grado di ingiustizia sono più facilmente:

  • fumatori,
  • ipertesi,
  • obesi,
  • sedentari, ma non consumano alcool.

Non c’è invece nessun rapporto con levati livelli di colesterolo!

Esiste un’associazione, secondo una logica aspettativa, col carattere usurante della mansione, il forte squilibrio tra impegno e compenso, e una scarsa equità dell’organizzazione.

Il fulcro della ricerca

Il fulcro della ricerca è che nel periodo di osservazione si sono verificati 528 eventi coronarici tra mortali e non.

Il rischio di contrarre la malattia era effettivamente più alto fra coloro che riferivano un moderato ed elevato grado di ingiustizia sul lavoro: il 76% in più.

Ovviamente considerando anche la presenza di altri fattori di rischio, per esempio fisici, l’eccesso di rischio scendeva al 55%, ma l’associazione rimaneva comunque statisticamente significativa.

Tale 55% di rischio in più può essere attribuito all’ingiustizia, indipendentemente da altri fattori comunque legati al posto di lavoro, come l’usura e lo squilibrio fra impegno e remunerazione.

Gli Autori dello studio, fra cui un italiano, il Prof. Roberto De Vogli, concludono che è possibile che la ricerca abbia colto l’ingiustizia nei loro confronti che le persone percepiscono anche in altri contesti, per esempio sociale e familiare, oltre a quello lavorativo.

E’ tutta la qualità della vita legata alla salute che peggiora in chi si sente trattato in modo ingiusto, anche se un effetto dose/risposta, si apprezza soprattutto per la salute mentale.

I meccanismi ipotizzabili

I meccanismi ipotizzabili coinvolti sono molti e già noti:

  • alterazioni del sistema nervoso autonomo (che per esempio regola la pressione arteriosa)
  • modificazioni della risposta neuroendocrina, ed altri.

Accanto all’alimentazione e all’attività fisica, occorrerebbe dunque un particolare riguardo anche alla “giustizia”, che viene percepita dai dipendenti negli ambienti di lavoro, per “guadagnare in salute”.

Fonte:

De Vogli R et al. Unfairness and health: evidence from the Whitehall II Study. J Epidemiol Community Health. 2007.Jun; 61(6): 513-8

  La Redazione in collaborazione con la dr.ssa Angela Gruppioni – nutrizionista-dietista educatrice


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