Protesi dell’anca: l’approccio basato sull’evidenza scientifica

Protesi dell'anca: l'approccio basato sull'evidenza scientifica

 

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La chirurgia che si occupa della protesi dell’anca è entrata nell’uso clinico negli anni ’60.

Dapprima riservata a pochi chirurghi pionieri, con risultati non completamente soddisfacenti, con il miglioramento delle tecniche chirurgiche e dei materiali protesici, l’intervento si è poi progressivamente diffuso nei principali centri ortopedici di tutto il mondo, ottenendo risultati migliori e più affidabili, tanto da essere proclamato l’intervento del secolo in un lavoro scientifico pubblicato da una autorevole rivista nel 2007.

Nel 2014, però, una altrettanto importante e autorevole pubblicazione scientifica si chiedeva come mai, nonostante 50 anni di esperienza, nell’ultima decade migliaia di pazienti fossero stati danneggiati dalla chirurgia protesica.

Questo tipo di dibattito fa comprendere come ancora molti dubbi vi siano e che tale chirurgia non debba essere presa alla leggera seguendo ideologie di marketing o, peggio ancora, di mode. Come qualunque pratica chirurgica, anche la protesi dell’anca richiede precise indicazioni che scaturiscono da altrettanto precisi riscontri diagnostici e da una reale necessità clinica del paziente candidato all’intervento.

Nel mercato attuale sono commercializzati centinaia di modelli protesici diversi, ognuno con caratteristiche costruttive peculiari intese ad affrontare e risolvere le problematiche anatomiche e chirurgiche dell’anca. Muoversi in questo panorama poliedrico di patologie e di protesi può essere complesso e difficile.

L’approccio scientifico è l’unico in grado di fornire delle basi sicure e dimostrate per poter effettuare scelte oculate e corrette. La medicina basata sull’evidenza è quella branca che si occupa di rendere chiari e accessibili i risultati scientificamente documentati delle pratiche cliniche e di evidenziare la sicurezza di utilizzo dei materiali protesici impiantabili.

Per quanto riguarda la protesi dell’anca, lo strumento di controllo e verifica dei risultati ottenuti sui grandi numeri è costituito dai registri nazionali di chirurgia protesica dell’anca. Nati alla fine degli anni settanta nel nord Europa (Svezia, Norvegia e Danimarca), consistono nella raccolta presso un centro unificato ed autonomo di tutti i dati riguardanti gli interventi di chirurgia protesica dell’anca.

Questo ha permesso di studiare il funzionamento clinico di migliaia di protesi potendo quindi stabilire quale impianto e quale tecnica garantiscano risultati migliori soprattutto in termini di durata.

Questi registri nazionali si sono poi diffusi in altre nazioni (USA, Canada, Australia, Regno Unito, ecc.) aumentando la mole di informazioni disponibili sui risultati delle protesi d’anca. Il principale vantaggio del registro protesico è che raccoglie in modo asettico ed indipendente i dati di tutti gli interventi eseguiti da tutti i chirurghi in tutti gli ospedali di quella nazione.

In questo modo migliaia di pazienti sono monitorizzati negli anni, evidenziando il destino clinico delle protesi utilizzate. Confrontando e analizzando tanti registri, questa mole di dati diviene così ampia da essere statisticamente significativa e quindi indicare con chiarezza le differenze di comportamento clinico tra i modelli protesici utilizzati.

Nel corso degli anni questo strumento ha permesso di fermare l’utilizzo di determinati materiali che hanno evidenziato un tasso di fallimento negli anni assolutamente inaccettabile per gli standard chirurgici medi. Ora i registri hanno quasi quaranta anni di vita e molte delle protesi utilizzate in passato sono state abbandonate.

Nuovi modelli e nuovi materiali sono stati utilizzati con miglioramento progressivo dei risultati globali dell’intervento, ma pur in un generale incremento della durata delle protesi, la lettura dei dati dei registri permette di evidenziare come siano attualmente in uso protesi e materiali che si distinguono per un miglior comportamento per un periodo di anni più lungo. Ciò equivale a dire che sono protesi con il minor tasso di fallimento nel più lungo periodo studiato (25 anni) nel più ampio panorama di pazienti e patologie in tutto il mondo.

Naturalmente, ciò non significa che solo quelle determinate protesi funzionano bene, ma solo che hanno funzionato per un tempo più lungo di altre che devono ancora maturare tale anzianità.

Deve inoltre essere considerato che molte condizioni cliniche particolari possono richiedere soluzioni diverse e peculiari per cui la ricerca clinica prosegue l’elaborazione di nuovi disegni protesici e di materiali costruttivi ancora migliori.

Esempi di grandi evoluzioni tecniche avvenute grazie ai risultati dei registri nazionali sono l’introduzione del polietilene altamente reticolato e l’abbandono del metallo-metallo quale superficie articolare. Il polietilene è il materiale plastico con cui è costruito l’inserto acetabolare che articola con la testina protesica.

Dai dati dei registri si è riscontrato un consumo elevato dopo dieci anni di utilizzo e questo ha portato a riconoscere la causa di tale problema guidando la ricerca alla costruzione di un polietilene più stabile e di conseguenza più efficace e longevo nella clinica. Le protesi dotate di articolazione in metallo-metallo hanno visto una grande diffusione negli ultimi 15 anni.

Tale materiale era ritenuto valido meccanicamente e con usura trascurabile garantendo migliori prestazioni cliniche e durata nel tempo. I risultati a 10 anni nei registri nazionali hanno invece documentato un maggior tasso di fallimento rispetto alle altre superfici articolari (polietilene e ceramica). L’analisi dei fallimenti ha potuto evidenziare la causa del fallimento nel rilascio ionico del metallo in grado di provocare danni tessutali locali e dolore, con conseguente necessità di reintervento.

In conclusione, ritengo che il chirurgo moderno abbia a disposizione strumenti scientificamente documentati per indirizzare i propri comportamenti e le proprie scelte nell’ambito protesico, nell’unico interesse di garantire al paziente il massimo risultato clinico possibile ottenibile con le tecniche ed i materiali attualmente disponibili.

Dott. Carlo Alberto Buratti

Dott. Carlo Alberto Buratti

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