Epicondilite del gomito o gomito del tennista

epicondilite del gomito o gomito del tennista

L’epicondilite è una reazione infiammatoria del gomito che coinvolge l’inserzione dei muscoli antero-esterni dell’articolazione e la cui causa non è completamente accertata. Generalmente, colpisce soggetti giovani (30-50 anni) che, a causa di particolari attività sportive o professionali, sono costretti a ripetere movimenti di flesso-estensione del gomito e di prensione della mano.

I soggetti più esposti sono pertanto i lavoratori manuali, coloro che praticano sport come il tennis (da qui origina la diagnosi di “gomito del tennista”) od utilizzano attrezzi che obbligano una prensione della mano come con i remi nel canottaggio o le funi nell’arrampicata in montagna.

Come si sviluppa

Il complesso muscolotendineo più coinvolto è l’estensore radiale breve del carpo. La sollecitazione continua della presa della mano, associata a movimenti dell’avambraccio, trasmette sollecitazioni continue alla inserzione ossea omerale esterna del gomito, tali da provocare un reazione infiammatoria che porta alla insorgenza della malattia.

Più raramente si riconduce ad un intenso sforzo occasionale o banalmente ad una microattività (utilizzo del PC o scrittura protratta).

Esiste, anche se non accertata, una indubbia predisposizione individuale metabolica–ormonale alla insorgenza della malattia.

Sintomi e durata

Spesso la sintomatologia dolorosa esordisce nella zona anterolaterale del gomito, per poi irradiarsi progressivamente lungo l’avambraccio ed il polso fino a portare ad una riduzione della forza nella presa anche di piccoli oggetti.

Il dolore sicuramente peggiora nei movimenti di torsione (quando si gira una maniglia della porta o si apre un barattolo), ma può essere avvertito anche quando il braccio viene tenuto a riposo.

Un episodio di epicondilite ha una durata variabile. Solitamente dura tra i sei mesi e i due anni, anche se la maggioranza delle persone tende a recuperare entro un anno.

Caratteristica delle prime settimane è l’intermittenza dei sintomi con fasi di quiescenza fino a periodi di acuzie tali da creare difficoltà anche ad effettuare una stretta di mano.

Nella fase cronica, a 2- 3 mesi dall’esordio dei sintomi, può insorgere dolore notturno con difficoltà alla estensione del gomito al risveglio o più banalmente dopo aver mantenuto inattivo l’arto anche solo per 1–2 ore.

Diagnosi

La diagnosi è prevalentemente clinica e si basa:

  • sulla localizzazione esatta del dolore nel gomito e avambraccio,
  • sulla valutazione degli eventuali fattori di rischio professionali o lo svolgimento di particolari attività sportive,
  • sull’esclusione di un episodio traumatico o la presenza di concomitanti patologie (esempio: condizioni reumatiche sistemiche, artrosiche croniche del gomito o nevralgie periferiche).

L’esame obiettivo utilizza una serie di test per accertare la provenienza del dolore, attraverso la palpazione diretta, la contemporanea ricerca dei segni di tumefazione locale e la mobilizzazione di polso e mano attivamente e passivamente in estensione e flessione.

Utile può rivelarsi l’esame ecografico, in quanto permette di quantificare la reazione infiammatoria della inserzione dei tendini coinvolti sull’osso e una radiografia standard in più proiezioni per escludere calcificazioni periarticolari o escludere una anomala morfostruttura scheletrica articolare del gomito.

Raramente, sono necessari altri esami diagnostici come la RMN o l’elettromiografia, se non per escludere altre cause (edemi ossei o compressioni di nervi periferici).

Trattamento

Il trattamento dipende dalla cronicità della malattia e della intensità della sintomatologia.

Sicuramente, è necessario il riposo funzionale con applicazioni intermittenti di ghiaccio e pomate antiinfiammatorie locali. Durante le ore notturne e nelle prime settimane anche nelle ore diurne è consigliato l’utilizzo di tutori di immobilizzazione (preformati in commercio o confezionati ad personam) atti a scaricare le forze ed impedire movimenti contro resistenza del gomito e della mano.

Sono indicate terapie fisioterapiche elettromedicali quali brevi cicli di onde d’urto, laserterapia, tecarterapia, US, ionoforesi.

Tutte le terapie hanno lo scopo di disinfiammare localmente la porzione malata e stimolare la rigenerazione cellulare locale della inserzione muscolo-tendinea.

Fattori di crescita autologhi ed infiltrazioni

A tal proposito, si sta proponendo il trattamento con una metodica definita medicina rigenerativa che consiste nella infiltrazione locale di “fattori di crescita” autologhi ottenuti da cellule progenitrici del nostro sangue (PRP o cellule monocitiche).

Al momento, esistono studi incoraggianti riguardo il loro utilizzo, ma non vi è ancora una accertata evidenza scientifica riguardo la loro necessità.

In casi resistenti alla terapia riabilitativa si procede con occasionali trattamenti infiltrativi con corticosteroidi e anestetici in loco.

Terapia chirurgica

Qualora nulla produca una remissione, una radicale attenuazione della sintomatologia o una ricorrenza della patologia, si pone indicazione alla terapia chirurgica con l’intervento di tenotomia o tenolisi (resezione della inserzione tendinea compromessa e/o la asportazione del tessuto danneggiato), generalmente effettuato in regime di Day-Hospital in anestesia locoregionale.

Recupero

Il recupero funzionale richiede generalmente la astensione da sforzi manuali per circa 5 settimane, indi una progressiva richiesta funzionale spesso assistita da terapia riabilitativa di supporto.

 

Dott. Andrea Berardi

 

Condividi su