Dossier Salute

Rischio epidemia da tubercolosi: mito o realtà?

La tubercolosi (TBC) è una malattia infettiva causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis. Sebbene molti la considerino una patologia del passato, negli ultimi anni si è registrato un aumento dei casi in diverse parti del mondo, suscitando timori sulla possibilità di una nuova epidemia di tubercolosi. Ma questa preoccupazione è fondata o si tratta di un allarme esagerato?

Epidemiologia della tubercolosi: un problema ancora attuale

La tubercolosi continua a rappresentare una delle principali cause di mortalità a livello globale. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2022 si sono registrati circa 10,6 milioni di nuovi casi e oltre 1,6 milioni di decessi a causa della malattia[1]. Nonostante i progressi compiuti nella prevenzione e nel trattamento, la TBC rimane una minaccia, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni socio-economiche precarie favoriscono la diffusione del patogeno.

Anche in Europa e in Italia si osserva un trend preoccupante. I flussi migratori, l’aumento della tubercolosi multiresistente (MDR-TB) e il calo dell’immunizzazione in alcune fasce della popolazione rappresentano fattori di rischio per la ricomparsa di focolai epidemici. In particolare, l’Italia ha registrato circa 4.000 nuovi casi annui, con una maggiore incidenza nelle grandi città e nelle fasce di popolazione più vulnerabili, come detenuti, immigrati e persone con HIV.

Fattori di rischio e diffusione della malattia

La tubercolosi si trasmette attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse o gli starnuti da una persona infetta. Tuttavia, non tutte le persone esposte al batterio sviluppano la malattia: in molti casi, il sistema immunitario riesce a contenerlo in una forma latente. Esistono diversi fattori che possono contribuire alla progressione dell’infezione:

  • Condizioni di vita precarie: sovraffollamento, malnutrizione e scarsa igiene aumentano il rischio di trasmissione.
  • Comorbidità: le persone affette da HIV, diabete o sottoposte a terapie immunosoppressive sono più vulnerabili.
  • Resistenza agli antibiotici: la diffusione di ceppi di tubercolosi resistenti ai farmaci sta rendendo più difficile il controllo della malattia.
  • Declino dei programmi di screening e prevenzione: la pandemia di COVID-19 ha ridotto la disponibilità di risorse per la diagnosi precoce della tubercolosi, favorendo un aumento dei casi non trattati.[3]

Minaccia reale di un’epidemia globale?

Nonostante il numero di casi in aumento in alcune aree del mondo, parlare di una nuova epidemia globale di tubercolosi potrebbe risultare fuorviante. Tuttavia, esistono preoccupazioni legittime legate alla diffusione di ceppi resistenti ai farmaci. La tubercolosi multiresistente (MDR-TB) e la tubercolosi estremamente resistente ai farmaci (XDR-TB) costituiscono una minaccia per la salute pubblica, poiché richiedono trattamenti più lunghi, costosi e spesso meno efficaci. In alcuni paesi, fino al 10% dei nuovi casi rientra in queste categorie.

Il rischio maggiore riguarda soprattutto i sistemi sanitari fragili, incapaci di garantire diagnosi precoci e terapie adeguate. Se non verranno implementate strategie globali di contenimento, la tubercolosi potrebbe tornare a essere un’emergenza sanitaria di grande portata.

Prevenzione e strategie di controllo

Per evitare una possibile epidemia di tubercolosi, sono necessarie misure mirate e un maggiore impegno da parte delle istituzioni sanitarie. Tra le strategie più efficaci troviamo:

  • Vaccinazione con il BCG (Bacillus Calmette-Guérin), attualmente raccomandata solo per gruppi a rischio elevato.
  • Screening e diagnosi precoce, soprattutto nelle fasce di popolazione più vulnerabili.
  • Miglioramento delle condizioni di vita, con politiche sociali che riducano povertà e malnutrizione.
  • Nuove terapie e ricerca su farmaci innovativi, per contrastare la resistenza agli antibiotici.
  • Sensibilizzazione della popolazione sui rischi della tubercolosi e sull’importanza della prevenzione.

L’impatto della pandemia di COVID-19 sulla tubercolosi

La pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto significativo sui servizi sanitari globali, compresi quelli dedicati alla tubercolosi. Le restrizioni di movimento, la riallocazione delle risorse e la paura del contagio hanno portato a una diminuzione delle diagnosi e dei trattamenti per la TBC. Questo ha creato un accumulo di casi non diagnosticati e non trattati, aumentando il rischio di trasmissione nella comunità.

Inoltre, la pandemia ha messo in evidenza le fragilità dei sistemi sanitari in molti paesi, sottolineando la necessità di investimenti maggiori per rafforzare la capacità di risposta alle emergenze sanitarie, comprese quelle legate alla tubercolosi.

La tubercolosi latente: una minaccia silenziosa

La tubercolosi latente (LTBI) rappresenta una sfida significativa per il controllo della malattia. Le persone con LTBI non presentano sintomi e non sono contagiose, ma il batterio rimane dormiente nel loro organismo e può riattivarsi in qualsiasi momento, causando la TBC attiva. Si stima che circa un quarto della popolazione mondiale sia affetta da LTBI.

L’identificazione e il trattamento delle persone con LTBI sono fondamentali per prevenire la progressione della malattia e ridurre il serbatoio di infezione nella comunità. Le strategie di screening e i trattamenti preventivi, come la terapia con isoniazide, sono strumenti importanti per affrontare la TBC latente, soprattutto nei gruppi a rischio.

Conclusioni

La tubercolosi resta una malattia da non sottovalutare, e sebbene non si possa parlare di un’epidemia imminente, il rischio di un aumento significativo dei casi è reale. La diffusione di ceppi resistenti ai farmaci, unita a condizioni socio-economiche sfavorevoli, potrebbe rendere più difficile il controllo della malattia. La prevenzione, la diagnosi precoce e il potenziamento delle strategie terapeutiche rimangono le armi principali per evitare una nuova emergenza sanitaria globale.

Fonti:

  1. Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). “Global Tuberculosis Report 2023”.
  2. Istituto Superiore di Sanità. “Epidemiologia della tubercolosi in Italia”.
  3. Lancet Infectious Diseases. “Impact of COVID-19 on Tuberculosis Screening Programs”.
  4. European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). “Multidrug-resistant Tuberculosis in Europe”.
  5. Ministero della Salute. “Linee guida per la prevenzione e il trattamento della TBC”.


FAQ

1. La tubercolosi è ancora una malattia pericolosa?

Sì, la tubercolosi rimane una delle principali cause di mortalità a livello globale. Nel 2022, sono stati registrati 10,6 milioni di nuovi casi e 1,6 milioni di decessi. La malattia continua a rappresentare una minaccia, specialmente nei paesi in via di sviluppo e tra le popolazioni vulnerabili.

2. Quali sono i principali fattori di rischio per la diffusione della tubercolosi?

I fattori di rischio includono:

  • Condizioni di vita precarie (sovraffollamento, malnutrizione).
  • Comorbidità (HIV, diabete, terapie immunosoppressive).
  • Resistenza agli antibiotici (MDR-TB, XDR-TB).
  • Declino dei programmi di screening e prevenzione.
  • Flussi migratori.

3. Esiste il rischio di un’epidemia globale di tubercolosi?

Sebbene il numero di casi sia in aumento in alcune aree, parlare di un’epidemia globale imminente potrebbe essere fuorviante. Tuttavia, la diffusione di ceppi resistenti ai farmaci rappresenta una seria preoccupazione, soprattutto nei sistemi sanitari fragili.

4. Quali sono le misure di prevenzione più efficaci contro la tubercolosi?

Le misure di prevenzione includono:

  • Vaccinazione con il BCG per gruppi ad alto rischio.
  • Screening e diagnosi precoce, specialmente nelle popolazioni vulnerabili.
  • Miglioramento delle condizioni di vita e politiche sociali.
  • Ricerca su nuovi farmaci e terapie.
  • Sensibilizzazione della popolazione.

5. In che modo la pandemia di COVID-19 ha influenzato la lotta contro la tubercolosi?

La pandemia ha avuto un impatto negativo, riducendo le diagnosi e i trattamenti per la tubercolosi a causa delle restrizioni e della riallocazione delle risorse sanitarie. Questo ha portato a un aumento dei casi non trattati e a un rischio maggiore di trasmissione.

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