Dossier Salute

Sanità in bilico: liste d’attesa record, spesa privata in fuga e rinuncia alle cure. Ecco la rotta per salvare il SSN

Sanità in bilico

Negli ultimi mesi si è consolidata una tendenza che non possiamo più definire episodica: la rinuncia alle cure cresce, la spesa privata esplode e il Servizio Sanitario Nazionale mostra segni di sottofinanziamento strutturale. Non è solo una serie di numeri: sono storie quotidiane di visite rimandate, esami spostati, ticket che pesano più del previsto, differenze territoriali che diventano diseguaglianze. Diverse analisi convergono nel fotografare lo stesso scenario: tempi di attesa che restano lunghi, un aumento della quota di cittadini che, quando possono, migra verso il privato e una quota non trascurabile che rinuncia del tutto.

Perché parlarne adesso

Negli ultimi giorni, nuovi dati e letture giornalistiche hanno portato in superficie un fenomeno covato a lungo: la crisi non riguarda solo i bilanci, ma il patto sociale che tiene insieme il diritto alla salute e la sua effettiva esigibilità. Il campanello d’allarme non suona in una sola Regione, e non è soltanto una questione di “liste d’attesa”: riguarda personale, organizzazione, finanziamenti, rapporto pubblico-privato, informazione ai cittadini, e l’attuazione (ancora incompleta) delle misure anti-liste d’attesa varate nell’ultimo biennio.

Quanto è diffuso il fenomeno: i numeri che contano

Rinunce in aumento, con differenze tra territori

Le stime più citate convergono su un ordine di grandezza: circa un italiano su dieci dichiara di aver rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria nell’ultimo anno, con ampie variazioni regionali. In Veneto, per esempio, il 7,9% dei cittadini ha riferito di aver rinunciato a una o più prestazioni nel 2024: sono oltre 383 mila persone. La media nazionale è più alta (intorno al 9-10%).

Cosa spinge a rinunciare

Le motivazioni oggi sono composite. Ai tempi di attesa (che per molte prestazioni superano i limiti massimi) si sommano i costi, diretti e indiretti (ticket, spese di trasporto, perdita di giornate lavorative). Secondo i dossier più recenti, nell’ultimo biennio le liste d’attesa hanno pesato almeno quanto – e in certi casi più di – motivazioni economiche, con differenze marcate per area geografica, livello di istruzione e condizioni di reddito.

Spesa privata e “secondo binario”

Il dato simbolo è la crescita della spesa “out-of-pocket”: i pagamenti diretti dei cittadini rappresentano oltre un quinto della spesa sanitaria complessiva (intorno al 22-23%), quota più alta della media europea. L’effetto combinato di liste d’attesa e maggiore spesa privata disegna un “doppio binario”: chi può paga (intra moenia o privato puro), chi non può aspetta o rinuncia.

Le radici del problema

Sottofinanziamento cronico

L’Italia destina alla sanità una quota di PIL più bassa rispetto a molti partner europei. Nel triennio più recente, le risorse aggiuntive post-pandemia si sono progressivamente riassorbite, mentre i fabbisogni (legati all’invecchiamento, alla cronicità e al recupero delle prestazioni saltate) sono cresciuti. Non stupisce, dunque, che gli analisti parlino di “definanziamento” relativo del sistema: meno ossigeno per assumere, rinnovare contratti, ammodernare tecnologie e smaltire le liste.

Personale: pochi, stanchi, distribuiti male

Il nodo risorse umane precede la pandemia ma si è acuito dopo il 2020: pensionamenti ravvicinati, carenza di infermieri e medici in alcune specialità, difficoltà a coprire i turni nelle aree periferiche. Le conseguenze sono tanto organizzative (riduzione di slot prenotabili, chiusure temporanee di servizi) quanto qualitative (turn over elevato, minor continuità di cura). Le grandi città, dove il privato è più presente, intercettano più facilmente la domanda in fuga; aree interne e periferiche, invece, vedono dilatarsi le disuguaglianze.

Territorio, prevenzione e cronicità: il “pezzo mancante”

La riorganizzazione territoriale – Case e Ospedali di Comunità, Centrali operative – avrebbe dovuto alleggerire i Pronto soccorso e garantire presa in carico dei cronici. Una parte della rete è attiva, ma a macchia di leopardo. Senza una medicina del territorio forte, i bisogni si spostano sull’ospedale (che non può reggere tutto) o sul privato (che non tutti possono permettersi).

Cosa è stato fatto (e cosa ancora manca)

Il decreto “liste d’attesa” e la Piattaforma nazionale

Nel 2024 è stato varato un decreto specifico sulle liste d’attesa con l’obiettivo di aumentare l’offerta pubblica, rendere trasparente la misurazione dei tempi e attivare poteri sostitutivi verso le Regioni inadempienti. Nel 2025 sono arrivate le linee guida per la Piattaforma Nazionale Liste di Attesa (PNLA), pensata per integrare i flussi regionali e monitorare in modo uniforme. L’attuazione, però, procede a velocità diverse: senza decreti applicativi completi, le misure non producono gli effetti attesi.

Intramoenia e regole di equilibrio

L’attività libero-professionale intramuraria (ALPI) è uno snodo delicato. Le regole nazionali richiedono che non aumenti le liste d’attesa per l’attività istituzionale e che resti entro soglie di produttività precise. L’equilibrio, tuttavia, non è sempre percepito dai cittadini, che spesso vedono tempi diversi per la medesima prestazione. Servono trasparenza dei calendari, tetti chiari e un controllo terzo che dia fiducia.

Il ruolo (utile) del privato e perché non basta

Il privato – accreditato e puro – assorbe una parte della domanda inevasa, fornisce tecnologie e capacità organizzativa, e in alcuni territori contribuisce a ridurre i tempi. Ma non può sostituire la funzione universale del SSN: se la porta d’ingresso resta il portafoglio, la sanità smette di essere un diritto e diventa un bene di consumo. Il privato è complementare, non sostitutivo: il bilanciamento dipende da governance, tariffe aggiornate, controlli di appropriatezza e reale integrazione dei percorsi di cura.

Come si esce dal vicolo cieco: cinque cantieri concreti

1) Finanziamento pluriennale “protetto”

Un Fondo sanitario ancorato a una traiettoria triennale-quinquennale, con indicizzazione a demografia e inflazione sanitaria, permette di programmare assunzioni, acquisti e investimenti con stabilità. Una quota dedicata a screening e cronicità ha ritorni certi in salute e costi evitati.

2) Un “Patto per le liste”: più offerta, monitoraggio pubblico, tempi garantiti

Occorre una task force nazionale-regionale con obiettivi per prestazione e per territorio, trasparenza real-time dei tempi, poteri sostitutivi effettivi, tetti intramoenia proporzionati, uso flessibile delle agende (sera, sabato) e acquisti mirati dal privato accreditato quando l’offerta pubblica non basta. La PNLA deve diventare il cruscotto unico per cittadini e operatori, con regole omogenee e sanzioni se i tempi garantiti non sono rispettati.

3) Medicina del territorio: case della comunità “vissute”, non vetrine

Le strutture territoriali funzionano quando dentro ci sono medici di famiglia e infermieri di famiglia e comunità, specialisti ambulatoriali, diagnostica di base, servizi sociali. L’obiettivo: presa in carico dei cronici, follow-up post-dimissione, gestione delle acuzie minori e telemonitoraggio. Serve flessibilità contrattuale per attrarre professionisti e digitalizzazione utile (non burocrazia aggiuntiva).

4) Professionisti: assumere, trattenere, motivare

Senza persone non c’è riduzione delle liste. Servono piani straordinari per assunzioni e stabilizzazioni, valorizzazione dell’infermieristica avanzata, carriere cliniche e retributive competitive, sicurezza nei luoghi di lavoro e organizzazioni “a misura” di team. La formazione va riallineata ai fabbisogni (specialità carenti, competenze digitali, lavoro di rete).

5) Prevenzione e alfabetizzazione sanitaria

La miglior lista d’attesa è quella evitata. Potenziare screening, vaccinazioni, promozione di stili di vita e aderenza terapeutica riduce accessi impropri e ricoveri evitabili. Serve anche educazione sanitaria: sapere quando è necessario un accesso e quando no, come usare i canali digitali, quali sono i tempi massimi garantiti e come segnalare disservizi.

Cosa può fare il cittadino, subito

Conoscere i propri diritti e gli strumenti disponibili

  • Tempi massimi: per le prestazioni prioritarie esistono tempi garantiti. Se non vengono rispettati, si può chiedere la prestazione in intramoenia a carico dell’azienda o presso privati accreditati, secondo le regole regionali.
  • Trasparenza: le agende dovrebbero essere consultabili; dove è attiva, la Piattaforma nazionale (e le piattaforme regionali) rende confrontabili i tempi.
  • Presa in carico: le Case della comunità possono offrire percorsi per patologie croniche, ambulatori infermieristici, consulenze sociali.

Muoversi con consapevolezza economica

  • Valutare esenzioni e ticket: molte categorie hanno esenzioni parziali o totali; informarsi evita rinunce immotivate.
  • Considerare tempi/costi indiretti: giorno di permesso, trasporto, assistenza a minori o anziani; talvolta conviene cercare prestazioni in Regioni limitrofe con tempi migliori.

Narrazione oltre i numeri: perché la fiducia è la leva più potente

La crisi non è soltanto di risorse, ma di fiducia. Molti cittadini sono convinti che, per “sbloccarsi”, l’unica via sia pagare di tasca propria: è il segnale che la percezione di inefficienza ha superato la soglia di guardia. La fiducia si ricostruisce con risultati tangibili (tempi che scendono davvero), trasparenza (dati aperti, confrontabili), ascolto (customer care sanitario, “case manager” per i pazienti fragili), e una comunicazione istituzionale che spieghi come e perché certe scelte organizzative funzionano.

Dalla fotografia al cambiamento: una roadmap realistica

  1. Stabilizzare i finanziamenti e legarli a obiettivi verificabili.
  2. Rendere operativa la PNLA, con indicatori pubblici per Regione/ASL/struttura.
  3. Potenziare la presa in carico territoriale, con team multiprofessionali stabili.
  4. Sbloccare agende e orari, integrando pubblico e accreditato senza zone grigie.
  5. Valutare l’impatto con audit clinici e report civici: non solo quanti esami, ma quante diagnosi precoce abbiamo in più.

Collegare i puntini: pubblico, privato, cittadino

Non c’è un “colpevole unico”. Quando le liste si allungano e i costi crescono, tutti pagano: il cittadino con la salute, il sistema con l’efficienza, il privato con l’immagine se percepito come “ultima spiaggia” a pagamento. Il SSN resta uno straordinario moltiplicatore di benessere e coesione sociale. Ma perché resti universale, servono scelte nette: dati aperti, investimenti, persone, e un rapporto con il privato costruito su regole e obiettivi comuni, non sul “fai da te”.

Mettere il cittadino al centro (davvero)

La rotta si cambia se il cittadino smette di sentirsi un utente in coda e torna ad essere persona in cura. Tradotto: appuntamenti presi (e rispettati) con un click, équipe che richiamano chi salta, percorsi che non rimandano il paziente da uno sportello all’altro, televisite dove ha senso, e un sistema di feedback semplice per segnalare problemi e ricevere risposte. È l’ingrediente che manca: un patto di affidabilità quotidiano, misurabile, pubblico.

Parole chiave da tenere a mente

In tutto l’articolo, i concetti cardine sono: Servizio Sanitario Nazionale, sottofinanziamento, liste d’attesa, spesa privata, rinuncia alle cure, medicina del territorio, intramoenia, Piattaforma Nazionale Liste di Attesa, prevenzione.

Per approfondire

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Fonti

  • Fondazione GIMBE, 8° Rapporto sul SSN (PDF). (salviamo-ssn.it)
  • Avvenire – “La nostra sanità abdica al privato. Falso che i medici manchino”. (Avvenire)
  • Il Fatto Quotidiano – “Per la sanità pubblica 13 miliardi in meno in 3 anni…”. (Il Fatto Quotidiano)
  • ANSA Veneto – “Il 7,9% dei veneti rinuncia a prestazioni sanitarie nel 2024”. (ANSA.it)
  • La Repubblica (Bologna) – Analisi su calo prestazioni e tempi d’attesa in Emilia-Romagna. (la Repubblica)

foto:freepik

Lavinia Giganti – Redazione

FAQ

È la decisione, dichiarata dal cittadino, di non effettuare una visita, un esame o un trattamento di cui avrebbe bisogno. Le cause più comuni sono tempi di attesa troppo lunghi e costi percepiti come insostenibili.

Le norme prevedono il rispetto di tempi garantiti per alcune priorità: se non sono rispettati, puoi chiedere la prestazione in intramoenia o presso strutture accreditate senza costi aggiuntivi (secondo procedure regionali). Informati presso la tua ASL.

La legge stabilisce che l’ALPI non deve aumentare le liste per l’attività istituzionale e pone limiti precisi. Il punto è garantire trasparenza e controllo.

Per effetto combinato di tempi d’attesa, ticket, tariffe non sempre aggiornate e disponibilità di offerta privata. In Italia la spesa out-of-pocket è sopra la media europea.

A uniformare e monitorare i tempi di accesso su tutto il territorio, integrando i sistemi regionali e rendendo i dati confrontabili e pubblici.

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