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La coppia tra sentimenti e sessualità: seconda parte sulle disfunzioni sessuali femminili

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Nel precedente articolo abbiamo iniziato ad analizzare il reciproco condizionamento negativo che si può creare tra le due dimensioni: la sessualità e l’attaccamento sentimentale. In particolare, l’obiettivo era quello di cercare di capire fino a che punto è una relazione disfunzionale-conflittuale tra i partners che complica o addirittura fa perdere interesse alla dimensione sessuale o, al contrario, se è una disfunzione sessuale non curata che prima o poi crea una crepa e un allontanamento emotivo tra i partners.

Lo abbiamo fatto concentrandoci sulle due disfunzioni sessuali maschili più ricorrenti: il deficit erettivo e l’eiaculazione precoce, cioè considerando la situazione che si crea nella coppia quando è l’uomo a non essere funzionante sotto l’aspetto sessuale. In questo articolo vediamo ora invece l’altra faccia della medaglia, cioè quando è la donna a essere disfunzionale da un punto di vista sessuale.

Anche qui la pretesa non è quella di esaminare le disfunzioni sessuali femminili a 360 gradi, ma prendendone in considerazione due o tre casi clinici per capire quale impatto emotivo questa eventualità genera sulla donna stessa e il vissuto e l’impatto che di rimbalzo produce sull’uomo. Anche in questo articolo non vogliamo perderci in disquisizioni accademiche e nosografiche utili per inquadrare una disfunzione sessuale, trovarne le cause e i possibili rimedi, cosa assolutamente utile ma già fatta abbondantemente da colleghi sessuologi e ginecologi, ma piuttosto evidenziare le reazioni emotive dei partner e l’influenza “negativa” che può esercitare la disfunzione sessuale non curata su una relazione sentimentale affettiva anche solida o basata su buone basi.

Il Modello di Analisi di W. Pasini

Prima di addentrarci nella descrizione di situazioni specifiche, dato che sono stato e tutt’ora mi identifico con orgoglio di essere un “allievo” di W. Pasini, riporto brevemente le sue linee guida da usare in sede di consultazione per inquadrare meglio una disfunzione sessuale maschile e/o femminile.

La disfunzione, potendo essere dal punto di vista eziologico multifattoriale, secondo W. Pasini doveva essere esaminata inizialmente sotto vari aspetti per decidere solo dopo averli acquisiti quali erano gli elementi più incidenti e quindi le cause più probabili. Le dimensioni da analizzare e valutare secondo il modello W. Pasini sono:

  1. Area biologica
  2. Area psicologica individuale o intrapsichica
  3. Relazionale di coppia
  4. Area relazionale allargata alla famiglia di origine
  5. Area socioeconomica, valoriale culturale

Premessa che può sembrare accademica ma, che nel corso del primo caso di disfunzione che ci prepariamo a illustrare, si rivelerà non solo pertinente ma anche di aiuto per la comprensione del lettore.

Caso Clinico A: Desiderio Sessuale Ipoattivo

Partiamo da un caso che in medicina viene definito: desiderio sessuale ipoattivo, che in pratica vuol dire calo del desiderio sessuale. Il caso riguarda Antonella, donna di 47 anni, di professione impiegata, sposata da quattro anni (dopo cinque anni di convivenza) con Mario, operaio specializzato di 57 anni.

L’inizio della consultazione

La consultazione inizia con domande che volgono a sondare le aree sopra indicate e inizialmente emerge un primo dubbio riguardo l’area biologica derivante dalla età di Antonella e da un sintomo ulteriore che avverte Antonella durante l’intimità sessuale, cioè la mancanza di lubrificazione della vagina durante l’atto sessuale che teoricamente potrebbe essere una concausa del calo del desiderio sessuale e la spia di primi segnali di una menopausa alle porte.

Ma indagando meglio emerge che sua sorella maggiore di 51 anni non è ancora in menopausa e inoltre una visita ginecologica effettuata da Antonella stessa quattro mesi prima, non aveva riscontrato problemi né segnali prodomi di una premenopausa. A questo punto, come conclusione provvisoria, la secchezza vaginale sembra più imputabile piuttosto al calo di desiderio sessuale che, riducendo e complicando lo stato di eccitazione, inevitabilmente contribuisce anche ad una riduzione della lubrificazione stessa.

Allargando l’indagine agli altri punti sopra indicati emergono due aspetti significativi: il primo riguarda la precedente relazione sentimentale di Antonella, terminata dopo 13 anni di convivenza problematica perché il partner precedente non voleva figli e che purtroppo è stata contrassegnata da una gravidanza inaspettata seguita da un aborto spontaneo vissuto con sollievo dal partner e con profondo dolore da parte di Antonella, senza essere stata compresa né tantomeno rincuorata dal partner.

Il secondo aspetto

Il secondo aspetto, molto più interessante e che spiega abbastanza il calo del desiderio sessuale intervenuto negli ultimi tempi, riguarda la situazione coniugale-famigliare che si è venuta a creare con il marito derivante da fattori esterni riconducibili al suo ruolo di padre. Mario, dal suo precedente matrimonio, ha avuto due figli ormai adulti ma il maschio di 28 anni purtroppo è tossicodipendente e, dopo essere scappato da una comunità terapeutica, era stato accolto in casa da Mario e Antonella. L’accoglienza doveva essere provvisoria ma invece si è protratta ben oltre il previsto.

La presenza del figlio difficile da gestire ha creato, come prevedibile, complicazioni a livello familiare e poi inevitabilmente anche di coppia, al punto che in una situazione di esasperazione Antonella, pur avendo aiutato e sostenuto il coniuge nel suo difficile ruolo genitoriale, ad un certo punto si è sentita a malincuore ma suo malgrado a dare un aut aut al marito: non me la sento di ospitare ancora tuo figlio in pratica o tieni me o tieni tuo figlio.

Antonella è una persona egoista?

Detta così sembra dipingere Antonella come una donna poco empatica ed “egoista” ma non è così; pertanto, un po’ per prassi e soprattutto dopo la rivelazione di questo aspetto cruciale, la consultazione ha riguardato inevitabilmente la coppia in cui si è lavorato su due registri: in primo piano il rapporto di coppia che si è rinforzato migliorando la comunicazione che si era un po’ inceppata e l’altro registro, dare voce al disagio, al senso di impotenza di Mario alle prese con un figlio molto problematico che per altro aveva già messo in crisi anche in primis la comunità terapeutica che non ha più voluto riaccoglierlo e i vari servizi del territorio coinvolti nella sua cura-assistenza.

Alcuni passaggi e aspetti complicati della situazione sanitaria del figlio di Mario sono stati omessi in parte per non tediare il lettore, in parte per non allontanarci dal focus di questo caso che era quello di dimostrare-esemplificare che un problema “esterno” ma non troppo alla coppia non gestito, può provocare un distacco emotivo tra i partners perché travolti da grosse preoccupazioni e il distacco emotivo ha portato tra le varie conseguenze anche un calo del desiderio a Antonella.

Focus vincente sulla coppia

Mario a sua volta si è sentito da solo nella gestione difficile del figlio problematico e per giunta allontanato da Antonella e “rifiutato” sul piano sessuale, con l’effetto che la “matassa” si è ulteriormente ingarbugliata! Ma la decisione di virare la consultazione sul piano coniugale, tenendo un occhio di riguardo all’intimità della coppia e l’altro occhio a ripristinare la comunicazione emotiva con tecniche ad hoc derivanti dalla pratica della terapia di coppia, sembra essersi rivelata la scelta vincente a risolvere il problema sessuale di Antonella e ad aiutare la coppia dal ritrovare una unità che poteva essere compromessa dalla gestione di un problema famigliare troppo grande per le loro forze e in particolare per quelle di Antonella.

 

Caso Clinico B: Il Vaginismo e il Matrimonio Bianco

Parliamo ora di un’altra disfunzione sessuale femminile: il vaginismo, corredata dal relativo caso clinico rappresentato da Lorena, di professione architetto, sposata da quattro anni con Luciano, di professione commercialista, vicini ai 40 anni e che in prima battuta presentano una situazione di “matrimonio bianco”.

Cos’è il Matrimonio Bianco

Prima di addentrarci nella specifica situazione del caso, ricordiamo al lettore che il matrimonio bianco in pratica si caratterizza per l’assenza dell’atto della penetrazione. Riguarda tutte quelle coppie che riescono a fare esperienza della sessualità solo per ciò che riguarda i preliminari, la masturbazione ed il sesso orale.

La possibilità di vivere la sessualità in modo alternativo porta i coniugi a raggiungere una sorta di accordo tacito dove, anche se la penetrazione non è presente, riescono comunque a godere di una certa intimità. Poi, in genere, quando soprattutto la donna si avvicina ai 40 anni e la coppia desidera avere un figlio e si rende conto che da un punto di vista biologico (e non solo) la decisione non può essere ulteriormente rinviata, in primis scatta la motivazione a rivolgersi ad uno specialista sessuologo per completare la propria dimensione sessuale ma in primis finalizzata  a poter avere una gravidanza.

In questi casi, in genere come anche nella nostra coppia, il matrimonio bianco è dovuto ad un “concorso di colpa” che ha lasciato la coppia in equilibrio fin tanto che non è diventato urgente il bisogno di genitorialità.

Il Caso di Lorena e Luciano

A essere più precisi, Luciano in precedenza aveva avuto modo di avere un  solo rapporto penetrativo con una “fidanzata “precedente ma non per sua iniziativa ma per iniziativa della ragazza e quindi come se l’avesse subito. Lorena (figlia unica) invece aveva avuto una educazione famigliare piuttosto rigida sotto l’aspetto sessuale, che però aveva fatto propria.

Durante l’anamnesi generale e sessuologica, Lorena ricorda che già da giovane era molto pudica,  non si cambiava in palestra ma già a casa, che non desiderava essere appariscente e pertanto evitava un trucco deciso o il portare tacchi alti e più recentemente si sentiva in imbarazzo ad indossare una minigonna almeno in casa come avrebbe invece desiderato   suo marito.

Con il precedente fidanzato Lorena aveva avuto le prime esperienze sessuali ma non penetrative perché per lei la verginità era una scelta a cui avrebbe rinunciato solo quando fosse stata sicura della persona con cui aveva una relazione sentimentale. In realtà, al di là di questa razionalizzazione, la sua era anche una vera e propria fobia che le impediva anche di sottoporsi a visite ginecologiche seppur necessarie.

Pertanto, nonostante ora con Luciano fosse più che sicura della relazione sentimentale e che lo percepisse come suo compagno di vita, l’autocensura impostasi in precedenza nel corso degli anni rimasta attiva,  era il primo nodo da sciogliere. Superato questo primo grosso ostacolo della verginità perché le ragioni della sua persistenza erano venute meno, ho dovuto preliminarmente “convincere” la coppia che il primo obiettivo da raggiungere era, al di là della eventuale gravidanza, quello di poter raggiungere una sessualità più completa e soddisfacente per entrambi i partners.

Quando la coppia si è mostrata convinta e desiderosa di raggiungere in primis questo obiettivo, è emerso un ulteriore problema di Lorena collegato, anzi nascosto, dalla sua verginità. Lorena in pratica era anche una donna affetta da vaginismo e pertanto senza una opportuna terapia ad hoc che affrontasse questa disfunzione prima nascosta e ora venuta allo scoperto, anche Luciano con tutte le buone intenzioni e seppur fisiologicamente pronto alla penetrazione di fatto non riusciva a procedere oltre i preliminari.

Che Cos’è il Vaginismo

In breve si ricorda che il vaginismo è un disturbo sessuale che si manifesta sia a livello fisico-psicosomatico, sia a livello psicologico ed emotivo. Per dare una idea di cosa sia e comporti questo disturbo sessuale, ricorriamo alla definizione che ne dà Wikipedia:
“Il vaginismo è un disturbo sessuale che si manifesta sia a livello fisico-psicosomatico, sia a livello psicologico ed emotivo. Sul versante corporeo il disturbo consiste in una contrazione riflessa e involontaria dei muscoli del perineo, della vulva, dell’orifizio vaginale tale da impedire la penetrazione necessaria al coito e spesso anche durante l’esame ginecologico. Sul versante psicologico si riscontra un vissuto fobico e di evitamento nei confronti dell’atto penetrativo.”

Questa è una descrizione generale del vaginismo ma per Lorena, prima di passare alla cura vera e propria di questa disfunzione sessuale, si è dovuto procedere con tatto e gradualità a smantellare la preclusione fobica nei confronti del rapporto sessuale che implicava inevitabilmente la “deflorazione” e la violazione definitiva della propria verginità.

La Terapia del Vaginismo: Il Protocollo Kaplan

Risolto questo passaggio molto importante da un punto di vista simbolico e valoriale, si è passati poi alla cura del vaginismo seguendo e riadattando il protocollo Kaplan che consiste sostanzialmente nella eliminazione graduale della reazione vaginale condizionata di chiusura “involontaria”.

Ciò si ottiene mediante l’introduzione in condizioni di rilassamento e tranquillità di oggetti di dimensioni gradualmente maggiori nell’ostio vaginale, inizialmente fatta dalla paziente stessa e successivamente con la collaborazione del partner. Si segnala che al giorno d’oggi, per professionisti del settore e per le stesse donne che ne hanno bisogno, sono disponibili e acquistabili in farmacia o online dei dilatatori vaginali utili appunto per contrastare il vaginismo, la dispaurenia e altri problemi ginecologici.

Quando la paziente riesce a sopportare l’introduzione di un oggetto o meglio un dilatatore delle dimensioni di un fallo, la terapia può considerarsi conclusa. In pratica, la terapia del vaginismo descritta dalla Kaplan è la traduzione nella sfera sessuale del principio terapeutico della desensibilizzazione sistematica

La desensibilizzazione sistematica o terapia ad esposizione graduale o progressiva,  è un tipo di terapia comportamentale impiegata in psicoterapia per superare fobie, ed altri disturbi dell’ansia. Nello specifico, si tratta di una forma di contro-condizionamento formalmente sviluppata dallo psichiatra sudafricano Joseph Wolpe, che personalmente ho anche usato in alcuni casi con successo.

Mi limito a citare un paio di casi: mi ricordo ad esempio di aver avuto in terapia una ragazza che non riusciva a raggiungere il luogo di lavoro a Milano in treno perché colta da attacchi di panico durante il tragitto o, ancora più grave, un ragazzo molto intelligente di circa 30 anni che però viveva in appartamento con la propria nonna anziana che non usciva di casa da ben due anni e ordinava tutto ciò che gli serviva online o al telefono, incaricando poi la nonna a scendere con l’ascensore al piano terra per il pagamento o il ritiro di quanto ordinato.

Considerazioni Finali e Altri Casi

Ritornando al caso citato di Lorena e Luciano, vorrei rimarcare e ribadire quanto già detto in un precedente articolo e cioè che la terapia sessuale funziona bene e ha ottime probabilità di raggiungere buoni risultati a condizione imprescindibile che la relazione sentimentale tra i partners non sia compromessa e che le rispettive e legittime esigenze-aspirazioni dell’uno e dell’altra non confliggano tra di loro.

Questa coppia forse più di altre ha dimostrato in pratica questo concetto: invece di rinfacciarsi l’un con l’altro la responsabilità del “problema” , i partners hanno mantenuto un ottimo rapporto di coppia e di collaborazione tra di loro durante tutto il percorso intrapreso, aspetto fondamentale che non va dato per scontato.

Concludo questo articolo citando brevemente altre due situazioni di matrimonio bianco-vaginismo incontrati non come terapeuta ma durante la mia precedente attività consultoriale quando, insieme all’assistente sociale, ero incaricato dal tribunale minorile per fare la valutazione-preparazione di coppie aspiranti all’adozione nazionale e internazionale. La prima riguarda una coppia quarantenne, lui impiegato nelle forze dell’ordine, lei insegnante, che in precedenza aveva intrapreso un percorso terapeutico per risolvere il loro problema sessuale, probabilmente non portato a termine o abbandonato per insufficiente motivazione e che aveva fatto domanda di adozione.

Sessualità incompleta e adozione: quando l’equilibrio di coppia fa la differenza nella valutazione del tribunale

Avevano fatto domanda di adozione proprio per l’impossibilità di diventare genitori in modo naturale. Nonostante qualche perplessità iniziale da parte della mia collega assistente sociale, avevo osservato che la coppia era in equilibrio: pur non avendo una sessualità penetrativa, i partner mostravano di vivere comunque una relazione di coppia soddisfacente, senza segni di sofferenza da parte dell’uno o dell’altro. La nostra relazione conclusiva fu positiva, e il tribunale per i minorenni accolse la loro richiesta. Adottarono un bambino di circa otto anni proveniente da un paese dell’Est Europa. I coniugi erano visibilmente felici del loro nuovo ruolo genitoriale e, in seguito, espressero il desiderio di adottare un secondo minore, dopo essersi trasferiti in una zona delle Marche, regione d’origine della moglie.

Diversa fu invece la valutazione che formulammo nei confronti di un’altra coppia aspirante all’adozione, anche loro senza figli a causa di una sessualità incompleta. In questo caso, l’equipe riscontrò una chiara mancanza di equilibrio nella relazione: il marito mostrava una sofferenza, seppur malcelata, per un problema sessuale irrisolto. Consigliammo quindi di ritirare la domanda e di ripresentarla in futuro, se le condizioni fossero cambiate.

In tema di adozione, è bene ricordarlo, il principio guida è che è il bambino ad aver bisogno di una famiglia e non viceversa: una coppia non può cercare di colmare con l’adozione difficoltà coniugali o sessuali non risolte. Per questo, agimmo nell’interesse prioritario del minore, evitando il rischio che potesse essere coinvolto in una probabile separazione della coppia.

La nostra decisione non fu ben accolta. I coniugi scomparvero per circa quattro-cinque mesi. Poi, colpo di scena: la signora si ripresentò al consultorio familiare perché era rimasta incinta nel frattempo e desiderava essere seguita per la gravidanza. Non abbiamo mai saputo cosa fosse successo, né avevamo il titolo per indagare. Tuttavia, è verosimile che la valutazione negativa ricevuta e la presa di coscienza delle complessità del percorso adottivo abbiano spinto la coppia a rivedere la propria situazione e, forse, ad affrontare finalmente il problema con l’aiuto di uno specialista.

La redazione in collaborazione con il Dr. Ferdinando Cesarano – psicoterapeuta

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