Qualche anno fa, ho accompagnato per una esperienza umanitaria il mio amico Don Frank nella sua terra natia: Il TOGO, uno degli Stati più poveri del mondo. Grazie a Lui ho conosciuto un Grande personaggio dell’Africa (Pierre Marcel) , colui che 50 anni fa (il primo uomo bianco Francese) fece costruire il primo centro per il ritiro spirituale di tutta l’Africa Occidentale, che divenne in seguito un dispensario, poiché egli capì che il silenzio di quei luoghi non poteva colmare solo lo spirito di quella gente.
In quei luoghi c’erano troppi problemi, c’era troppa sofferenza per badare solamente allo spirito umano. Fu cosi trasformato in dispensario, un luogo di cura per tutti i malati. Mi sono imbattuto in questo “Piccolo strano personaggio” ormai di 93 anni, che non voleva più curarsi al di fuori di quei luoghi. Aveva però un serio problema: il suo pacemaker era quasi scarico e la sua vita di conseguenza appesa ad un “Filo”. Mi fu chiesto cosa e come fare per aiutare il vecchietto. Vidi la sguardo del mio amico Don incrociarsi col mio e che sembrava volesse dire:“Tu sei il cardiologo, dimmi cosa possiamo fare per lui!”.
Capii l’importanza di quell’uomo in quei luoghi solo dopo vari giorni dalla nostra impresa. Sì perché solo di impresa e miracolo (come lo definisce il Don) si deve parlare per ciò che noi abbiamo fatto a 7000 km dalla colta civiltà Occidentale! Ho creduto in quella sfida tra me e l’Africa tutta. Chiamai subito un mio amico a Milano di nome Vito e gli dissi: “Ho assolutamente bisogno di un nuovo Pacemaker qui in Africa il più presto possibile”. Vito, con grande atto di riconoscenza e grande amore verso il popolo Africano, non ci mise molto a procurarmi l’agognato pacemaker.
In tutto il Togo erano al corrente di questo intervento che doveva essere fatto, compresi alcuni Colonnelli dell’Esercito di Stato ed il Ministro della Salute. Tutti i riflettori erano puntati su quel piccolo dispensario perso nella grande Africa. La sfida a cui ero chiamato e le mie paure crescevano di conseguenza. Dovevo operare da solo, in un posto solitario, in una solitaria stanza del dispensario, con un solo pacemaker a disposizione e solo pochi ferri chirurgici. Un piccolo intoppo avrebbe compromesso la vita del paziente, la mia reputazione e quella di Don Frank. Invece tutto filò liscio ed alla fine il paziente fu operato con successo e, già ultranovantenne, visse ancora 4 anni.
La mia esperienza Africana si chiuse lì, con quell’intervento chirurgico considerato semplice negli Ospedali Europei, ma divenuto tremendamente complesso in quel luogo remoto dell’Africa.